Umberto Eco, la cultura popolare

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Umberto Eco, che se fosse ancora con noi, almeno fisicamente, compirebbe novant’anni, era straordinario per la sua capacità di tenere insieme molteplici registri. Sottolineo fisicamente perché la sua eredità, per fortuna, rimarrà con noi per sempre: sotto forma di articoli, di libri, di ricerche, di lezioni universitarie, di trasmissioni televisive e di intuizioni uniche per profondità e lungimiranza.
Eco, infatti, non è solo l’autore de “Il nome della rosa” e di altri numerosi capolavori. È anche colui che, al pari di Berselli, sapeva tenere insieme l’alto e il basso, gli apocalittici e gli integrati, la semiotica e Mike Bongiorno, gli interessi delle élite e quelli dei ceti popolari. Non a caso, era amatissimo ovunque. Era amato per la sua gentilezza d’animo, per la sua umanità, per l’umiltà con cui si approcciava a ogni argomento, per la passione civile che manifestava in ogni circostanza e per il suo essere l’esatto opposto del trombone che pontifica su tutto ma sa poco di qualunque cosa. Al contrario, Umberto Eco era convinto di non sapere. Anche per questo aveva una libreria sterminata, affinché i libri non letti stessero lì a ricordargli tutto ciò che non aveva ancora approfondito. È la grandezza dei veri sapienti, ricca di meraviglia interiore, capacità di trasmettere entusiasmo e rettitudine morale.
Eco sapeva giocare, si divertiva da matti a creare indovinelli e a trattare la lingua come una materia viva, una sorta di pongo con cui costruiva statuine in forma cartacea, scherzando con le parole, inventando giochi linguistici degni di un grande enigmistica, plasmando i suoi scritti con infinita saggezza e realizzando un nuovo mondo e un immaginario prima sconosciuto ogni volta che si accostava alla scrittura. Era anche una forma di amore per il prossimo, di rispetto per i suoi numerosi lettori, di gioia di vivere, di attenzione alle giovani generazioni e di sconfinata curiosità intellettuale, la stessa che lo induceva a non fermarsi mai, a cercare ancora, a scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo e a raccontarlo, ad esempio nella sua indimenticabile rubrica sull’Espresso, quella Bustina di Minerva che da ragazzo leggevo con avidità.
Di Umberto Eco ricordo le interviste che gli realizzò Enzo Biagi, la sua amicizia con Furio Colombo, le sue risposte mai banali, la sua significativa opposizione a Berlusconi e, soprattutto, al berlusconismo e il suo addio, in punta di piedi, nel febbraio del 2016. Buon compleanno, professore, ovunque lei sia!

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