Dall’URSS alla Libia, trent’anni di fallimenti

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Sono trascorsi trent’anni da quando fu ammainata la bandiera rossa sul pennone del Cremlino e oggi possiamo riflettere serenamente sulle conseguenze di quella decisione. Era inevitabile, per carità, come tutto ciò che avvenne in quegli anni: dall’abbattimento del Muro di Berlino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e di equilibri internazionali che avevano dominato la scena globale per quattro decenni ma ormai non avevano più alcuna ragione di esistere. Tutto giusto; fatto sta che i dieci anni successivi, quelli della presidenza El’Cin, non sono stati minimamente positivi per una Nazione che aveva smarrito orgoglio, dignità e speranze, al punto di doversi affidare, nel ’99, a un personaggio controverso, discutibile e il più delle volte inaccettabile come Putin ma quanto meno in grado di restituire ai russi la propria antica e irrinunciabile fierezza.
Lo stesso discorso vale per la Libia, a dieci anni dall’assassinio di Gheddafi, in seguito alla guerra che gli mosse l’Occidente in nome di molteplici interessi, per lo più di carattere economico. Spiace dirlo, ma la Libia attualmente non è affatto più democratica rispetto ai tempi del dittatore della Sirte. Oggi è un paese fragile, diviso in fazioni nemiche, caratterizzato da tribù in conflitto fra loro e attraversato da innumerevoli violenze, disseminato di lager in cui la ricca Europa fa rinchiudere i migranti in fuga dalla disperazione, affidandoli alle “cure” dei tagliagole indigeni per limitarne l’afflusso nelle nostre debolissime società, e incapace persino di indire le elezioni, sempre che abbia senso un simile istituto in un contesto così disastrato.
Tutto questo ci induce a riflettere sulla nostra pretesa di un’egemonia euro-atlantica nei confronti di ambiti che vivono in base a regole diverse, con una storia diversa e incompatibile con la nostra, con una visione del mondo che nulla ha a che spartire con la nostra e con un’esperienza complessiva che non può funzionare secondo schemi che ormai, oltretutto, mostrano la corda anche da noi.
Le sanzioni alla Russia, le concessioni interessate alla Libia, la questione del gas e la tragedia dei migranti aprono scenari geo-politici, economici e di stabilità planetaria con le quali ci rifiutiamo da anni di fare i conti, come se potessimo far finta di niente, continuando a coltivare l’illusione di una superiorità che non ci appartiene e di un’autosufficienza che, specie in campo  energetico, semplicemente non abbiamo.
L’URSS cadde perché qualcuno volle far finire un’epoca come peggio non si sarebbe potuto, dando vita a una  supremazia artificiale che, fra il 2001 e il 2008, fra le Torri Gemelle a New York e il crack della Lehman Brothers, si è chiaramente rivelata per ciò che era sempre stata, ossia una drammatica illusione.
La Libia è caduta per ragioni simili, evidenziando il nostro complessivo fallimento e ponendo fine alla stagione di speranza inaugurata in Tunisia e nota come “primavere arabe”.
Oggi, sia in Russia che in Libia è rimasto solo l’inverno. Molti rimpiangono, a ragione, Gorbačëv e qualcuno persino Gheddafi. Capita quando a voler decidere i destini dell’umanità sono persone e stati che non hanno mai avuto il coraggio di fare i conti con se stessi e con le proprie irrisolte contraddizioni.

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