L’autobus n.37 guidato da Agide Melloni il 2 agosto 1980 a Bologna

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L’autobus della linea 37 in servizio a Bologna il 1 agosto 1980 alle 10:25 di un giorno che nessuno potrà mai dimenticare. Il 37 è diventato il simbolo della strage alla stazione di Bologna per aver trasportato per 15 ore di seguito feriti e deceduti verso tutti gli ospedali e gli obitori, uomini, donne, bambini colpiti dalla violenza stragista di chi voleva ferire a morte la democrazia di un paese segnato da quelli che erano “anni di piombo” e dalla “strategia della tensione”. A guidarlo per ore senza mai fermarsi c’era Agide Melloni, autista divenuto suo malgrado un testimone di una delle stragi più sanguinarie che colpirono Bologna. A raccontare cosa è accaduto quel maledetto giorno d’agosto, all’esterno del Bar Pippo2000 al Parco Petrarca, (erano presenti giovani studenti e qualche esponente della società civile insieme agli organizzatori), è arrivato a Bolzano un uomo che ancora oggi si commuove e si emoziona. Su invito dell’Arci Bolzano, Arciragazzi, Arci Trento, Arci Aurora, Politiche Giovanili – Alto Adige e di altre associazioni (nell’ambito del progetto “Anni di Piombo” ideato da Andrea Rezza insieme all’Associazione tra i famigliari delle vittime della strage di Bologna 2 agosto 1980), Agide Melloni moderato dal giornalista Massimiliano Boschi e alla presenza della vicepresidente dell’Associazione, Sonia Zanotti (una delle sopravvissute alla strage), ha raccontato con una pacata umiltà e una sensibilità straordinaria, cosa vide e soprattutto quale fu il suo impegno per alleviare la sofferenza delle tante persone ferite: 200, oltre agli 85 morti.

Occhi che non potranno mai dimenticare scene strazianti e la concitazione di chi accorse da tutte le parti di Bologna per soccorrere centinaia di persone sconvolte da una bomba che dilaniò la sala d’aspetto gremita di passeggeri in partenza per le vacanze. Le 10.25 di un orologio che fermò per sempre le sue lancette.

«Le ambulanze arrivano e ripartivano trasportando i feriti verso i pronto soccorso di tutti gli ospedali e io che ero arrivato in stazione dopo solo venti minuti dall’esplosione, mi offrì di guidare il 37 e iniziai così a portare prima chi aveva bisogno di essere portato in ospedale e poi le vittime. Dovevamo salvare più persone possibile ma non potevamo dimenticare i morti ai quali eravamo coscienti di portare rispetto. La reazione di Bologna che ha saputo intervenire immediatamente senza esitare e senza una autorità preposta (il sindaco Renato Zangheri era all’estero e non c’era ancora la Protezione Civile, ha spiegato Massimiliano Boschi originario di Bologna, ndr), fu tale che tutti si prodigarono per dare una mano ai soccorritori e la decisione di utilizzare l’autobus come mezzo di trasporto – racconta Agide Melloni – fu immediata. Mentre centinaia di vigili del fuoco, carabinieri, poliziotti, scavavano anche con le mani per ore, io ero a stretto contatto con un vigile del fuoco e un funzionario della mia azienda di trasporti. Abbiamo capito subito cosa fare con l’autobus che era fermo in stazione. C’erano anche altri mezzi in quel momento e le persone si rifugiavano dentro per allontanarsi dal luogo dell’esplosione. C’erano feriti ovunque». Fatica a proseguire l’ex autista che ora porta la sua testimonianza nelle scuole, accompagnato anche da Sonia Zanotti che interviene per ribadire un’assoluta necessità etico morale: «Non bisogna mai dimenticare quello che è accaduto a Bologna e la reazione che ha saputo avere e dimostrare questa città». Dimenticare mai è un obbligo per stare accanto ai famigliari delle vittime.

«Grazie a questo improvvisato modo di trasportare i feriti – ha proseguito nel suo racconto l’ospite e testimone che non smise di guidare fino a notte fonda – fu possibile salvare chi aveva bisogno di cure immediate. I feriti non vennero mai sovrapposti uno sull’altro e riuscimmo a deporli tutti distesi. Ai finestrini poi appendemmo dei lenzuoli bianchi per occultare la presenza delle salme (l’autobus fu poi rimesso in circolazione ordinaria e ora è stato restaurato e collocato in deposito. In occasione delle celebrazioni del 2 agosto è tornato ad essere guidato per presenziare alla cerimonia che si svolge ogni anno davanti alla stazione, ndr), e nel trascorrere delle ore fu chiaro che si stava diffondendo un sentimento di calore, di umanità, di dedizione tra tutti noi presenti, uno fianco all’altro. Io non avevo nessuna cognizione di come soccorrere i feriti. Nessuno tra i cittadini comuni era in grado di farlo, eppure tutti ci siamo sentiti parte integrante di un’operazione di soccorso imponente. Tutti gli ottici di Bologna capirono che con l’esplosione scoppiarono anche le lenti di chi portava gli occhiali e corsero a portarli agli ospedali».

Le parole di Melloni valgono molto più di qualunque commento di analisti, sociologi e pure, a volte giornalisti, la cui preoccupazione è quella di emergere individualmente, poco inclini a restituire come ha dimostrato questo uomo autista e soccorritore, la realtà dei fatti senza bisogno di ricorrere alla retorica e all’ideologia di chi tenta di dare un’interpretazione della storia. «Nessuno dei noi presenti ha tirato fuori e fatto valere le proprie diversità e caratteristiche personali. Io avevo 31 anni nel 1980 e quelli che frequentavo in stazione per lavoro credevo di conoscerli bene ma fu solo in quelle ore dopo l’esplosione che capì come erano veramente. Nessuno di noi si sentiva differente all’altro. Ci fu inseguito una discussione molto accesa sull’uso dell’autobus – spiega ancora Melloni – e una parte della città contestò la scelta di usarlo, mentre altri ritennero giusto farlo, come pure io sono convinto.

Sugli autobus c’è un’umanità tutti i giorni e le persone si guardano, si osservano, sanno cosa pensano chi viaggia vicino a loro. Io credo sia stato una scelta doverosa poterlo utilizzare anche a questo scopo. Mi ricordo che arrivò anche una signora anziana che mi donò un ciondolo che conteneva cotone e una bottiglietta di alcool (si commuove mentre lo racconta, ndr) e mi disse che quello era il suo contributo per lenire le ferite. Fu importante il suo messaggio che faceva capire che così si poteva aiutare le persone anche con un piccolo gesto di solidarietà e allo stesso tempo mi voleva dire: io ci sono e voglio che questa città riemerga anche grazie alle persone che fanno piccole cose. Nessuno è stato un eroe quel giorno ma tutta la città».

Ma Bologna è cambiata rispetto al 1980?, chiede Massimiliano Boschi. «41 anni non trascorrono per nulla e Bologna è cambiata e non è più la città che ho vissuto in quella tragica vicenda. In quegli anni la gente stava ore a discutere per strada, si incontrava e c’era un dialogo tra tutti. Ecco perché quel giorno la comunicazione di portare soccorso alla stazione fu istantanea. Una sorta di passaparola immediato. Era una città perennemente inquieta e non vedeva mai la fine di qualcosa che veniva realizzato ma si discuteva come andare avanti». Bologna è andata avanti e non dimentica: ogni 2 agosto scende sulle strade (da Viale Indipendenza fino a Piazza Medaglie d’Oro dove si svolge la commemorazione per le vittime) e qui nel 2020 «la popolazione si è arrabbiata per non aver potuto fare il corteo e presenziare per via della pandemia – conclude Melloni – e quando i cittadini bolognesi protestano con il politico di turno che viene alla cerimonia è perché sanno che non ha capito veramente cosa è accaduto. Bisogna vigilare sui buchi dell’istruzione delle scuole e continuare a parlare di questa strage (come di tutte le altre, ndr) Io a 72 anni continuo a farlo per testimoniare quello che è accaduto il 2 agosto 1980». E quando può sale ancora a bordo dell’autobus numero 37 ma da solo per stare in silenzio. Una parte di lui è rimasta per sempre lì.


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