Vale la pena produrre grazie agli schiavi?

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Vale la pena produrre bellezza grazie agli schiavi? Se lo domanda lo scrittore e giornalista spezzino Maurizio Maggiani, autore de “Il coraggio del pettirosso” e “Il viaggiatore notturno”, dopo le indagini su presunti gravi episodi di caporalato ai danni di lavoratori migranti pakistani (operazione “Pakarta”) che hanno travolto la Grafica Veneta S.p.A. di Trebaseleghe (Padova), azienda che stampa libri per le più importanti case editrici italiane, tra cui la saga di Harry Potter di J.K. Rowling e i romanzi dello stesso Maggiani.

Maggiani ha posto la domanda direttamente a Papa Francesco, che ha risposto a stretto giro di posta, con un appello a una “economia diversa, a misura d’uomo”, stigmatizzando il “lavoro schiavo” che calpesta troppo spesso e facilmente la dignità di lavoratori e lavoratrici, anche nel mondo della letteratura, “pane delle anime”, ferita dalla “voracità di uno sfruttamento che agisce nell’ombra, cancellando volti e nomi”.

La domanda sulla produzione, sul profitto a tutti i costi, naturalmente si può estendere a tutti i settori lavorativi che creano bellezza e prodotti di qualità. Compresi quelli dell’eno-agro-alimentare e del tessile, orgoglio del made in Italy. Cosa siamo disposti a fare, o meglio a ignorare, per risparmiare su vino e frutta oppure per avere un capo firmato “sottocosto”?

Quanto valgono la dignità e la sicurezza di chi lavora per noi?

I tanti casi di caporalato nelle nostre campagne, sia nel sud che nel nord Italia, da Rosarno a Cuneo, denunciati anche da Sicurezza e Lavoro, la terribile morte della giovane operaia tessile Luana D’Orazio, stritolata da un orditoio, e le recenti ispezioni in 64 imprese tessili del distretto di Prato, con il 100% delle aziende risultate irregolari, devono, dovrebbero farci riflettere.

Stesso discorso vale anche per chi non produce bellezza, ma opera sempre e comunque per noi, nell’ombra, nell’anonimato: per chi costruisce i nostri palazzi, asfalta le nostre strade, prepara i letti nei nostri alberghi, pulisce le nostre case, assiste i nostri anziani, cura i nostri giardini, consegna i nostri pacchi.

La denuncia, anche sociale, e la rinuncia ai servizi e ai prodotti venduti da chi non rispetta la dignità, la salute e la sicurezza di lavoratori e lavoratrici sono il primo passo da compiere. Con coraggio e onestà.

Servono poi maggiori controlli nelle imprese, possibili solo con l’assunzione di più personale ispettivo, sanzioni certe e procedimenti giudiziari rapidi per chi viola le regole del mercato del lavoro, più formazione, anche durante l’intera carriera lavorativa, incentivi alle imprese virtuose e penalizzazioni per le aziende disoneste.

Le norme, anche se migliorabili, ci sono: spesso però viene meno la loro corretta e puntuale applicazione, ma, soprattutto, in Italia mancano una cultura del lavoro dignitoso e sicuro e una maggiore consapevolezza nei consumi, che dovrebbero invece essere insegnate già a scuola.

Massimiliano Quirico
direttore@sicurezzaelavoro.org

www.sicurezzaelavoro.org


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