“Fummo massacrati ma avevamo ragione noi”. Intervista con Mark Covell

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Non è stato semplice, almeno dal punto di vista emotivo, intervistare Mark Covell. Stiamo parlando, infatti, del giornalista inglese di Indymedia che venne scambiato, non si sa neanche quanto casualmente, per un black bloc e massacrato di fronte alla scuola Diaz, accusato di essere un delinquente dopo essere finito addirittura in coma e costretto a subire ogni sorta di minaccia e di ingiuria. Pochi hanno pagato per quella “macelleria messicana”; molti, al contrario, sono stati addirittura promossi, a cominciare dai vertici dell’epoca. Non a caso, Mark mi ha chiesto espressamente di scrivere che sostiene senza se e senza ma la battaglia di Amnesty International in favore dell’introduzione di un codice identificativo sui caschi degli agenti italiani. Tuttavia, in quest’intervista, non esprime mai rancore. Alla lucidità del racconto di quei giorni, seguono le preoccupazioni per un mondo sull’orlo del precipizio, un pianeta straziato che forse ha raggiunto davvero il punto di non ritorno.

 

Quando sei venuto in contatto con Indymedia e con il movimento No Global? Quando hai deciso di recarti a Genova per seguire il G8 del 2001?

Sono entrato in Indymedia UK pochi mesi dopo la sua creazione nel settembre 2000, quando sono andato alla demo IMF/WB a Praga. Facevo il cameraman e alcuni dei miei filmati sono stati usati in “Prague rebel colours”.

Sono arrivato a Roma alla fine di giugno per seguire uno spettacolo politico-artistico, chiamato “Grado Zero a Roma”. Non avevo mai avuto intenzione di recarmi a Genova per coprire il G8, ma a Roma mi furono rubati il passaporto e i soldi e così sono rimasto bloccato in Italia. Dopo aver discusso con alcune persone in Italia Indymedia, ho viaggiato con loro alla volta di Genova il 9 luglio, per dare una mano nella configurazione tecnica e logistica di Indymedia Genova presso la scuola Diaz Pascoli. Non avevo intenzione di restare perché il G8 mi sembrava un problema e dovevo andare a Milano per ottenere un nuovo passaporto. Tuttavia, il 17 luglio era quasi impossibile lasciare Genova a causa della messa in opera dell’anello d’acciaio. Così ho deciso di restare alla Pascoli per tutto il G8 e non ho mai fatto manifestazioni.

Pensavo che sarebbe stato sicuro fermarmi alla Diaz, ma si è rivelato il posto più pericoloso in cui stare a Genova.

 

Cosa ricordi dell’arrivo a Genova, prima della tragedia di Carlo Giuliani e dell’azione criminale nella scuola Diaz?

Quando sono arrivato a Genova, mi sono innamorato della città perché era così bella! Ho incontrato molti italiani gentili che mi hanno fatto sentire il benvenuto. Tuttavia, ricordo anche la formazione militare a Genova con il passare dei giorni. Oltre quattrocentomila genovesi lasciarono la città e divenne difficile trovare cibo e acqua. Faceva anche caldo, vicino ai quaranta gradi. Non conoscevo la lingua né molti italiani (ero uno degli oltre duemila giornalisti che hanno lavorato alla Diaz Pascoli durante i giorni del G8 2001. Non ero particolarmente informato su quello che stava accadendo ma ho provato a filmare le conferenze stampa del Genoa Social Forum, come accadeva ogni giorno.

 

Qual era il ruolo di Indymedia, prima dell’avvento dei social network e della cosiddetta “rivoluzione social”? Cosa ha significato per la tua carriera professionale questa piattaforma?

Indymedia ha davvero rivoluzionato il web con la sua invenzione della pagina di caricamento self publishing alla fine del 1999 a Seattle. Fino a quel momento, dovevi conoscere il codice e come costruire un sito web per pubblicare qualsiasi cosa. Indymedia ha reso facile per chiunque pubblicare video, foto, testi e commenti.

Gli editori dei media mainstream e le corporation non amavano perdere il controllo dei mezzi d’informazione o della facoltà di trasmissione dei messaggi a favore di un gruppo di giovani giornalisti dei media indipendenti come me e i miei amici… e così iniziò la guerra tra i media aziendali e Indymedia che sarebbe andata avanti per anni .

Mentre Seattle e Praga erano molto sperimentali, Genova è il luogo in cui sono nati, di fatto, i social media. Anche grazie all’invenzione del telefono cellulare con la fotocamera, non era necessaria una costosa videocamera per filmare quello che stava succedendo. Genova sarà testimone della nascita dei citizen media: persone normali, che non erano giornalisti, hanno postato molto su Indymedia durante il G8 di Genova.

Parlando della mia esperienza professionale, mentre si avvicinavano i giorni della protesta, sono rimasto alla Diaz Pascoli per aiutare a pubblicare storie di notizie e trattare con i circa quattro milioni di persone on-line al giorno in tutto il mondo. Il mio lavoro durante i giorni del G8 era quello di diffusore di notizie.

Dopo Genova e poiché non potevo trovare nessun altro lavoro, sono rimasto con Indymedia, diventando uno dei suoi global editors a partire dal 2005, quando il G8 si svolse a Gleneagles.

Il mio lavoro nel 2005 era quello di prendere una notizia importante e ripubblicarla su venti o trentamila siti di notizie e siti di attivisti in tutto il mondo in 24-36 ore.

Sono andato in pensione nel dicembre 2009, dopo la conferenza sul clima della COP 15 a Copenhagen, per tornare a Genova e concludere il processo di appello relativo alla Diaz che è durato altri due anni.

 

Puoi raccontarci la tua esperienza il 21 luglio 2001? Sei rimasto nel cortile della scuola Diaz quando è arrivata la polizia e poi…

La notte del raid alla Diaz avevo chiamato Bill Hayton, un giornalista della BBC, per chiedere se potevo uscire per Genova con lui e il suo cameraman. Decisero di arrivare alla Diaz Pascoli ed erano presenti quando iniziò il raid. Stavo facendo le valigie, dopo aver gestito un banco informazioni all’interno del cortile della Diaz Pertini, e ho deciso di entrare per la prima volta nella scuola verso le 22 di quella sera per salutare alcuni amici che stavano lì….

Ero ancora lì intorno alle 23,40, quando un italiano è arrivato di corsa dicendo che c’era stato un raid. Io e un collega tedesco abbiamo deciso rapidamente di tornare dall’altra parte della strada ai nostri portatili per segnalare che il raid era in corso. Lui ce l’ha fatta ma io no.

Fui intercettato dalla prima fila di Canterini, guidata da Fournier. È stato il primo a colpirmi. Sono stato subito circondato e ho cercato di protestare, dicendo che ero un giornalista, ma un poliziotto ha detto “tu no giornalista, tu black bloc – uccidiamo black bloc”. Sapevo che sarebbe stato molto difficile sopravvivere a tutto questo, dato che l’intera strada si era riempita di centinaia di poliziotti.

Il primo attacco mi ha solo reso invalido, mentre ero in ginocchio e steso a terra accanto al cancello della Diaz Pertini.

Guardandomi intorno, ho pensato che se mi fossi alzato e fossi scappato sarei potuto arrivare alla Diaz Pascoli, ma quell’idea aveva poche possibilità di successo, quindi sono rimasto dov’ero, sperando che mi lasciassero in pace.

Tuttavia, un poliziotto è arrivato dall’estremità meridionale della strada e mi ha preso a calci nella parte sinistra della gabbia toracica. Mi ha rotto otto costole e mentre si scheggiavano nel mio polmone sinistro, sono stato sollevato con tanta forza in mezzo alla strada, dove sono stato usato come pallone da calcio. La mia mano sinistra era rotta e la mia colonna vertebrale era danneggiata. A questo punto soffrivo anche di una massiccia emorragia interna e non pensavo che sarei sopravvissuto. In quel momento un carabiniere uscì da Diaz Pascoli e gridò: “Basta, Basta!” e mi trascinò di nuovo accanto al cancello della Diaz Pertini. Fino ad oggi, non si è mai fatto avanti per ricevere i miei ringraziamenti per il suo aiuto nel cercare di proteggermi. Fu chiamato via e io mi ritrovai di nuovo solo.

Alzai lo sguardo e intorno a me vidi un furgone della polizia sbattere contro i cancelli della Diaz Pertini e la strada svuotata di poliziotti di base mentre entravano nel cortile della Diaz Pertini e iniziavano a sfondare finestre e porte per ottenere l’accesso. Ricordo un’enorme quantità di rumore e le urla che si diffondevano intorno a me, mentre mi rendevo conto che ciò che stava accadendo a me sarebbe successo al resto degli occupanti della Diaz Pertini.

A questo punto i comandanti della Diaz e gli agenti della Digos sono stati lasciati in strada mentre sono stato attaccato per la terza volta, sono stato preso a calci in bocca, ho perso sedici denti e sono stato colpito anche alla testa, finendo in coma per tredici ore.

Sono stato lasciato sul marciapiede per circa venticinque minuti, praticamente a morire prima che un’ambulanza riuscisse a raggiungermi. Sono stato subito classificato come “codice Rosso”, in imminente pericolo di morte, e rapidamente trasportato all’ospedale San Martino. Sono stato uno dei primi ad arrivare ma, a mia insaputa, i miei stessi aggressori mi hanno seguito in ospedale. Delle novantatre vittime del raid alla Diaz, sessantadue sono stati trasportati al San Martino, di cui oltre cinquanta sono stati prelevati illegalmente dall’ospedale, trasportati alla caserma dei Carabinieri Raniero di Bolzaneto e torturati per settantadue ore.

Il dottor Lupi, che stava cercando di salvarmi la vita, ha dovuto contrastare i poliziotti antisommossa in ospedale che volevano rimuovermi illegalmente nonostante le mie ferite e trasportarmi a Bolzaneto, dove sarei morto.

Mentre ero in coma e combattevo per la mia vita, il capo della polizia di Genova (Colucci) ha scortato una giornalista del Daily Mail (Lucy Morris) che si è spacciata per personale dell’ambasciata britannica per entrare nella mia stanza d’ospedale. Mi ha svegliato dal coma e ha ottenuto i dettagli della mia famiglia nel Regno Unito. In seguito, ha scritto un articolo dicendo che ero la mente dei disordini di Genova e che sarei andato in prigione per molti anni. Devi capire che la polizia guidata da Gratteri ha intrapreso un massiccio tentativo di distruzione dell’immagine delle persone coinvolte nel raid alla Diaz per affermare che tutte le vittime erano, in realtà, terroristi black bloc. Da quel momento in poi, la mia vita per i successivi otto anni è stata distrutta dalla falsa accusa di essere un terrorista quando ero innocente ed ero solo un giornalista della NUJ (National Union of Journalists).

Quando il dottor Lupi ha capito chi erano questi giornalisti, si è arrabbiato e ha costretto la scorta della polizia, Lucy Morris e il suo fotografo a uscire dalla stanza d’ospedale. Nel frattempo, ho notato la presenza all’esterno della polizia armata del GOM (Gruppo Operativo Mobile) che mi ha informato che ero in arresto per “terrorismo dell’informazione” nonché per cospirazione al fine di organizzare rivolte e persino per essere membro di un’organizzazione terroristica illegale, ovvero i black bloc. Ero molto scioccato e spaventato.

La mattina dopo sono arrivati ​​altri poliziotti che sono entrati tentando di scollegare la mia macchina di supporto vitale, tirando fuori le flebo e dicendomi di vestirmi perché dovevano prelevarmi e trasportami illegalmente a Bolzaneto

Il dottor Lupi ha protestato dicendo che non avevano un ordine del tribunale per trasferirmi ed è scoppiata una rissa mentre i medici cercavano di proteggermi. Alla fine si arresero ma gridarono: “Ttorneremo con un ordine del tribunale!”.

In seguito, ho saputo che Amnesty International ha affermato che gli eventi di Diaz, Bolzaneto e San Martino rappresentavano “La più grande sospensione dei diritti democratici e legali in un paese occidentale dalla seconda guerra mondiale”.

Il giorno dopo la polizia è tornata con un’ordinanza del tribunale e il dottor Lupi non ha potuto impedire loro di scollegare la mia macchina di supporto vitale, così sono stato portato giù nell’ala del carcere di San Martino, in attesa di trasporto a Bolzaneto.

È stato molto difficile rimanere in vita quel martedì sera. È stato terrificante. Ricordo un poliziotto che ha tirato fuori la sua pistola, me l’ha puntata contro e ha premuto il grilletto e poi si è allontanato ridendo.

Sono rimasto sveglio tutta la notte perché sapevo che, se avessi chiuso gli occhi, sarei morto.

 

Al mattino, ero l’ultimo rimasto e quel pomeriggio sono stato portato davanti a un magistrato e mi hanno detto che sarei stato trasportato a Bolzaneto, ma poi il telefono ha squillato e un giudice della Corte Suprema di Roma ha ordinato il mio rilascio, così sono stato rilasciato dall’ala della prigione verso le 18 di mercoledì sera, mi sono ricollegato alla mia macchina di supporto vitale e sono uscito sotto il bagliore dei media di tutto il mondo.

Non avevo idea di cosa fosse successo al resto delle vittime della Diaz e solo allora ho saputo delle torture avvenute alla caserma Raniero di Bolzaneto. A questo punto sono rimasti solo sei di noi a San Martino… tutti i feriti più gravi del raid.

Contestualmente al rilascio, Berlusoni ha annunciato che non ci sarebbe stato alcun insabbiamento e che ci sarebbe stata un’indagine completa ma poi ha emesso un ordine di espulsione illegale per tentare di impedire alle vittime di parlare con la Procura, così ebbe inizio la battaglia per farmi rimanere a Genova per fornire una ricostruzione al dottor Zucca che ho incontrato per la prima volta il venerdì dopo il raid.

 

Chi ti è venuto in soccorso in quei giorni?

Ci tengo a dire anche che le azioni dell’ambasciata britannica per proteggermi hanno sicuramente fatto incazzare enormemente i comandanti della Diaz. Gratteri e altri volevano davvero vedermi finire a Bolzaneto. Sono stato protetto da una sorta di deportazione da parte dei poliziotti e sono rimasto all’ospedale San Martino per un’altra settimana prima di stare abbastanza bene da tornare alla Diaz con un’auto dell’ambasciata britannica per dare una ricostruzione al dottor Zucca. Sono volato via da Milano il 4 agosto e sono tornato nel Regno Unito.

 

Vuoi aggiungere qualche altro dettaglio, utile per ricostruire le vicende di quei giorni?

C’è un rapporto nelle prove relative alla Diaz secondo cui un poliziotto ha chiamato il controllo della polizia dicendo che ero morto per le ferite riportate e il controllore della polizia ha detto “mantienilo segreto”. Tuttavia è trapelato alla BBC alle 5 del mattino – cinque ore dopo il raid – e non è stato corretto fino alle 7, il che significa che tecnicamente sono morto per due ore!

 

Cosa è cambiato nel mondo in questi vent’anni? Cosa ne pensa dei giovani che lottano contro il cambiamento climatico, seguendo i messaggi di Greta Thunberg e del Movimento Fridays for future? Quali sono gli aspetti simili e quali le differenze tra i No global e i Giovani di oggi?

Come ha detto Vittorio Agnoletto in questi giorni, i manifestanti hanno fatto bene a sollevare le questioni della dannosa globalizzazione delle imprese e del cambiamento climatico. Ovviamente siamo stati i primi manifestanti che hanno iniziato a lanciare l’allarme in tal senso e abbiamo pagato un prezzo pesante per questo.

In questi ultimi vent’anni, nonostante gli eventi dell’11 settembre e le guerre successive, ho visto molti paesi rivoltarsi contro il potere delle mega corporation e ho visto la creazione di molti partiti politici anti-globalizzazione. Anche personaggi come Trump sono contro la globalizzazione. Il M5S è nato per le strade di Genova. A tal proposito, è interessante notare che anche i fascisti sono contro la globalizzazione. Tuttavia, rimarranno negazionisti del cambiamento climatico fino alla fine.

Ciò detto, penso che, dopo la pandemia, nel 2021 stiamo assistendo al crollo globale della globalizzazione delle corporation.

Per quanto riguarda il cambiamento climatico, dubito fortemente che Greta Thunberg abbia mai sentito parlare di quello che è successo qui a Genova, ma ho grande rispetto per lei e per il suo messaggio. È divertente che ci voglia una ragazza per dire agli adulti di smettere di inquinare.

 

E cosa ne pensi di questi ragazzi?

Sono stato molto ispirato dall’incontro con la nuova generazione di giovani italiani, specialmente gli studenti coinvolti nella ribellione per la crisi demografica del vostro Paese e nei Fridays for future Tuttavia, ho poche speranze che accada qualcosa di positivo perché a Boris Johnson e al partito dei conservatori non importa nulla del cambiamento climatico. L’apertura di miniere di carbone e l’installazione di una nuova piattaforma petrolifera nel mare del Nord ti dice tutto sulle sue priorità. Quindi, purtroppo, penso che questa nuova generazione non otterrà l’accordo e il futuro che merita. È solo una questione di tempo prima che inizino ad arrabbiarsi sul serio perché non hanno alcun futuro.

 

Eppure qualche cambiamento c’è stato. Ad esempio, negli Stati Uniti ha perso Trump…

 

Ci sono voluti Trump e il Covid perché si verificasse il crollo della globalizzazione delle corporarion. Questo si sta rivelando un enorme shock per i ricchi paesi occidentali che sono abituati ad avere scorte illimitate di beni di consumo e cibo a prezzi convenienti.

Alla fine, non puoi mantenere la globalizzazione in atto e aspettarti di vincere la battaglia contro il cambiamento climatico. Avremmo potuto cambiare gradualmente negli ultimi vent’anni, ma i leader del G8 si sono rifiutati di farlo.

Abbastanza presto, nei prossimi cinque anni, mentre la foresta pluviale amazzonica brucia e aggiunge un aumento di temperatura di feedback negativo di due gradi in più, spingendo così le temperature globali a 3,5 gradi in più, rischieremo un vero e proprio inferno. La politica non conta, dato che non riesce a fornire risposte alle persone che in tutto il mondo manifestano perché hanno fame e sete

È tremendo, ma purtroppo accadrà. L’Austrialia l’anno scorso e la California quest’anno stanno inviando segnali inequivocabili di ciò che sta per accadere. Non ci siamo più forse. Abbiamo esaurito il tempo.

 

Siamo arrivati al punto di non ritorno?

Temo proprio di sì.


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