I medici chiedono di non somministrare il vaccino AstraZeneca ai giovani

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Il decesso di Camilla Canepa, la ragazza di 18 anni morta dopo aver ricevuto la prima dose del vaccino AstraZeneca il cui nome sulle fiale è Vaxzrevia non può essere imputabile ad una fatalità: dalle cartelle cliniche sequestrate dalla Procura di Genova si è saputo che la donna era affetta da piastrinopenia autoimmune responsabile di procurarle un deficit cronico di piastrine nel sangue. Una patologia che avrebbe dovuto impedire la somministrazione del vaccino. Pochi mesi fa, sempre a Genova, aveva perso la vita anche un’altra donna di 32 anni subito dopo aver ricevuto lo stesso vaccino a vettore basato su un adenovirus. Un’altra giovane donna a Pisa ricoverata e operata al cervello dopo essere stata vaccinata. Un uomo di 54 anni di Bergamo è deceduto dopo aver ricevuto la prima dose. I referti di morte parlano di trombosi del seno cavernoso cerebrale. Il primario di neurochirurgia Gianluigi Zona che ha operato la giovane deceduta a Genova intervistato da La Stampa: «Non sono un virologo o un epidemiologo o un medico legale ma, a fronte del quadro che ho visto nella testa di quella ragazza, è chiaro che siamo di fronte a qualcosa di non normale».

A segnalare il rischio di reazioni avverse e fatali nell’utilizzo di un vaccino che utilizza il metodo del vettore virale geneticamente modificato per indurre l’organismo a produrre la proteina spike (presente nel Sars-Cov-2), con il fine di stimolare il sistema immunitario, lo aveva fatto, già nel mese di settembre del 2020, il professor Andrea Cossarizza, immunologo dell’Università di Modena e Reggio Emilia, un ricercatore scientifico tra i più accreditati nella ricerca sulle cure del Covid-19. In un’intervista rilasciata a Repubblica: «le reazioni avverse possono verificarsi frequentemente quando sin sperimenta un vaccino. La regola in questo caso è fermarsi e capire. A seconda della gravità, lo stop potrebbe arrivare a sei-otto mesi». Un appello che non è stato evidentemente ascoltato e recepito da chi è preposto a impedirne le conseguenze negative. Nell’intervista il docente universitario segnalava anche la sua preoccupazione per come si stava procedendo con la sperimentazione dei vaccini: «stiamo correndo a rotta di collo, senza fare o quasi test sugli animali e, quel che è peggio, stiamo trasformando il vaccino in uno strumento di politica interna per alcuni paesi, e internazionale. Non è questo il metodo giusto.

Si calcola che una sperimentazione su due, quando è coinvolto un grande numero di volontari, registri qualche evento avverso. In questo caso tutte le somministrazioni vengono immediatamente bloccate fino a quando non si chiarisce cosa sia successo. La regola in questo caso è fermarsi e capire. Si forma un comitato di una decina di esperti indipendenti, con la supervisione delle autorità regolatorie, e si esamina il caso. A seconda della gravità, lo stop di questa sperimentazione potrebbe durare poche settimane o arrivare a diversi mesi. È un sistema di controllo molto rigido». Il 23 aprile del 2021 l’EMA (Agenzia europea del farmaco) che aveva in precedenza autorizzato l’utilizzo del vaccino, segnalava un rischio maggiore di trombosi trombocitopenica nei soggetti fino ai 49 anni rispetto a pericolo di morire a causa del Covid-19. Anche l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) raccomandava l’utilizzo solo per la fascia d’età sopra i 60 anni. In Austria, Danimarca, e altri Paesi del Nord Europa l’AstraZeneca è stato vietato e negli Stati Uniti non è mai stato autorizzato. La Germania lo somministra solo a persone sopra i 55 anni. L’Italia ha voluto fare diversamente  e concesso l’uso anche nei giovani accorsi in massa negli Open day , la cui gestione è stata assegnata alle Regioni senza delle direttive precise, come nel caso di Bologna, il cui risultato è stato a dir poco caotico. Le immagine trasmesse dal Tgr dell’Emilia Romagna facevano vedere file interminabili, centinaia di giovani che avevano trascorso la notte all’aperto per garantirsi l’accesso alla sede dove venivano somministrati i vaccini con conseguenti assembramenti per cercare di accedere per primi.

Il principio di precauzione che sta alla base di ogni sperimentazione e somministrazione di farmaci è stato abolito. A pensarlo sono i 24 firmatari dove figurano scienziati e medici vaccinatori volontari di una lettera inviata ai consiglieri dell’opposizione in Regione Liguria e diffusa dall’associazione Luca Coscioni per la libertà scientifica, tra cui Valeria Poli, docente di Biologia molecolare all’Università di Torino e presidente della Sibbm (Società italiana di biofisica e biologia molecolare), Anna Rubartelli docente di Biologia Cellulare al San Raffaele di Milano, Gennaro Ciliberto dell’Istituto dei Tumori di Roma presidente della Fisv (Federazione Italiana Scienze della Vita), Marcello Bagnasco dell’Università di Genova, Paola Minale ex direttrice di Allergologia dell’Ospedale San Martino di Genova, Enrico Haupt ex direttore di medicina generale dell’ospedale di Lavagna (Genova), Alessandro Bonsignore presidente dell’Ordine dei medici di Genova, Anna Mondino e Giulia Casorati immunologhe, che hanno rivolto un appello al fine di non somministrare ai giovani nessun vaccino a vettore adenovirale (oltre ad AstraZeneca anche Johnson&Johnson).

Scrivono i medici: I vaccini – tutti i vaccini approvati e distribuiti – hanno progressivamente messo sotto controllo la pandemia, a riprova che si tratta di un presidio farmacologico efficace e con un profilo di sicurezza controllato e largamente vantaggioso. Ora stiamo entrando una nuova fase della vaccinazione contro Covid-19, più allargata e che vede interessati i giovani, i quali sono meno a rischio per gli effetti della malattia, ma vogliono e dovrebbero vaccinarsi per conquistare un’immunità collettiva. In contrasto con la politica prudente degli altri paesi europei, molte regioni italiane stanno organizzando open days di vaccinazioni AstraZeneca (AZ) e Johnson&Johnson riservati a fasce d’età per le quali AIFA ha sconsigliato questi vaccini. Diversi open days sono riservati ai giovani over 18, in particolare ai maturandi. Purtroppo, sappiamo che i vaccini a vettore adenovirale possono causare in soggetti probabilmente predisposti la trombosi venosa trombocitopenica (VITT)1 , un effetto collaterale raro che si presenta a distanza di 5-15 giorni dalla vaccinazione e può avere esito fatale. La fascia di età più a rischio è quella dai 20 ai 55 anni, soprattutto individui di sesso femminile.

Nei primi studi l’incidenza risultava di 1:100.000, con un terzo di casi fatali1 . L’analisi dei dati forniti dall’Agenzia del Farmaco2 e dal Servizio Sanitario Inglese3 , aggiornati a metà maggio, suggerisce una incidenza superiore. La nota informativa del vaccino AZ riporta la VITT come possibile effetto indesiderato che può interessare fino a 1 persona su 10.000 (!)4 . L’iniziativa degli open days AZ sembra mossa da buone intenzioni e sta riscuotendo grande successo, ma non è nel miglior interesse dei giovani. Nei soggetti under 30 che non abbiano comorbidità, la letalità per COVID-19 in Italia è vicina allo zero e rarissima è l’ospedalizzazione, mentre il rischio di VITT per loro supera il beneficio del vaccino, ed è sufficiente a sconsigliare la vaccinazione con AZ, in accordo alle raccomandazioni AIFA. Se la scelta di vaccinare solo gli over 60 con AZ era basata su dati che dimostravano un rischio trascurabile di VITT in questa fascia d’età, specialmente se paragonata al rischio di ospedalizzazione e morte da covid19, su quali dati si basa la scelta di vaccinare con AZ anche i più giovani, che invece non sono suscettibili a queste complicanze?

Sembra essere il frutto più di entusiasmo che di ponderazione. Inoltre, la campagna intrapresa da molte regioni non mette correttamente in guardia i giovani dai rischi, ovvero non vengono loro fornite né informazioni sufficienti né alternative per decidere in autonomia. Si sfrutta il loro desiderio di riprendere una vita normale, visitare liberamente i nonni, muoversi per lavoro o per studio, andare in vacanza, etc., ma sorge il sospetto che in realtà si cerchi di smaltire le dosi di AZ rimaste inutilizzate. I maturandi italiani sono quest’anno circa 500.000: se anche solo metà di loro fossero vaccinati con AZ, secondo la nota informativa di questo vaccino in 25 potrebbero essere colpiti da VITT. Ma se anche uno solo di loro morisse, come potremmo giustificarlo, quando conosciamo i rischi e abbiamo le dosi necessarie di Pfizer e Moderna per vaccinare in maniera sicura anche i nostri ragazzi?».

Solo nelle ultime tre settimane il vaccino Astrazeneca è stato somministrato a quasi 160 mila giovani di sesso maschile e femminile di età compresa tra i 18 e i 26 anni.

La lettera – appello (pubblicata sul sito dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà scientifica) è corredato anche da referenze scientifiche tra cui compare anche quella dell’Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (MHRA) inglese dove viene affrontato il problema dei coaguli di sangue con piastrine basse concomitanti: «L’MHRA ha intrapreso una revisione approfondita delle segnalazioni del Regno Unito di un tipo estremamente raro di coagulo di sangue nel cervello, noto come trombosi del seno venoso cerebrale (CVST) che si verifica insieme a bassi livelli di piastrine (trombocitopenia) a seguito della vaccinazione con il vaccino COVID-19 AstraZeneca. Sta anche considerando altri casi di coagulazione del sangue (eventi tromboembolici) insieme a bassi livelli di piastrine. Questa revisione scientifica in corso ha concluso che le prove di un legame con il vaccino COVID-19 AstraZeneca sono più forti e un annuncio è stato fatto il 7 aprile 2021 con un’ulteriore dichiarazione il 7 maggio».

L’agenzia europea per i medicinali (EMA) è responsabile della gestione e del mantenimento in efficienza di EudraVigilance con il compito di segnalare casi di sospetti effetti indesiderati, utile per valutare i benefici e i rischi dei medicinali durante la fase di sviluppo e per monitorare la sicurezza dopo l’autorizzazione. Al 22 maggio 2021 le segnalazioni di sospette reazioni avverse da vaccini Covid-19 pervenute ad Ema e rese pubbliche sul sito dell’Agenzia sono distinte per vaccino. Astrazeneca: casi totali 237.648; di cui gravi 130.369; di cui fatali 2.489. Pfizer – Biontech: casi totali 191.215; di cui gravi 64.435; di cui fatali 6.049. Moderna: casi totali 29.616; di cui gravi 14.234; di cui fatali 3.365; Janssen: casi totali: 4.997; di cui gravi 2.339; di cui fatali 369. I dati pubblicati dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) cita al 26 maggio su 32 milioni di dosi di vaccini somministrati in Italia 328 casi “con decesso”: 213 collegati a Pfizer, 58 a Moderna, 53 ad Astrazeneca, 4 a Johnson&Johnson. Analizzando il tasso su 100mila si evince che il più alto è quello di Moderna (1,99), Pfizer (0,96) e Astrazenaca e J&J con una percentuale dello 0,79. Nelle ultime tre settimane il vaccino Astrazeneca è stato somministrato a 160 mila giovani di sesso femminile e maschile tra i 18 e i 29 anni, nonostante la stessa Aifa avesse raccomandato di riservarlo solo a chi aveva più di sessant’anni.

Raccomandazione che molte Regioni non hanno voluto raccogliere con il risultato che solo ora il ministro della Salute, Roberto Speranza ha emanato una direttiva in cui si vieta la somministrazione sotto i 60 anni. Il risultato: migliaia di dosi di Astrazeneca che non si sa come utilizzare, il disorientamento della popolazione che si ritrova a dover fare una seconda dose con un vaccino diverso dal primo. I virologi si dividono e c’è chi come Andrea Crisanti si pronuncia scettico sull’efficacia: «non è mai accaduto nella storia della medicina che si somministrino due vaccini diversi», o Giulio Tarro che afferma: «Non è giustificabile sul piano scientifico ed è un approccio illogico». In Italia assistiamo anche ad un’informazione  mainstream che vorrebbe classificare come no – vax chiunque cerchi di avere un pensiero critico e avanzare delle perplessità su come le vaccinazioni siano condotte in Italia. «La scienza è un processo in divenire che richiede di mettere in dubbio ciò che si è acquisito, farsi domande, andare ad approfondire. E lo è tanto di più in questo momento in cui ci troviamo di fronte a una minaccia nuova come la pandemia – spiega Roberto Villa, medico e giornalista nell’articolo: «Quanto fa male l’idea di una scienza fatta di “certezze inconfutabili”» pubblicato su il sito ilbolive.unipd.it da Francesco Suman.

Villa insieme a Fabiana Zollo (ricercatrice del dipartimento di scienze ambientali, informatiche e statistiche dell’università di Ca’ Foscari di Venezia ) lavora al progetto europeo, Quest, che mira a sviluppare strategie per una comunicazione della scienza efficace. Quella che manca in questo momento.

 

crediti foto @Tgr RAI

 

 

 


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