Chiara Mezzalama: Dopo la pioggia”. Prove di resistenza

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Chiara Mezzalama, in un’intervista sul suo ultimo romanzo “Dopo la pioggia”, edizioni e/o 2021, dice che il protagonista del romanzo è il Tevere, ma bisogna leggere una cinquantina di pagine prima di incontrare questo personaggio che darà il senso a una storia che corre su due strade che via via si incrociano e diventano una sola. All’inizio c’è la crisi esistenziale e matrimoniale di Ettore e Elena. Una famiglia borghese la loro, una coppia tra i quaranta e i cinquanta, due figli Giovanni e Susanna, un rapporto matrimoniale sul punto di collassare per l’adulterio di Ettore, che Elena ha ormai scoperto. Ettore è un ingegnere edile, uomo di successo che guida un’azienda di costruzioni ereditata dal padre, è chiuso in una miopia egoista che cerca di curare i sintomi di una crisi esistenziale con il classico metodo di trovare un’amante più giovane della moglie; non apre gli occhi nemmeno quando un episodio di afasia lo blocca di fronte al Consiglio di amministrazione della sua azienda. Elena fa la traduttrice e coltiva il progetto mai veramente attuato della scrittura, vive in un mondo di libri che la difende come una barriera protettiva ma le apre anche altre strade di riflessione su dove sta andando il mondo. La sua attività di traduttrice l’ha portata a seguire conferenze sul clima che le hanno posto nuovi interrogativi. Ma come accade a molte donne è rimasta imprigionata nella cura dei figli e della famiglia, a cui ha dato precedenza su altre possibilità di lavoro e di affermazione personale e adesso l’allontanamento e l’adulterio di Ettore l’hanno posta sull’orlo di quel “pozzo” a cui si affacciano spesso le donne. Troverà la forza disperata di fare un gesto di ribellione e se ne andrà da casa lasciando solo un messaggio che verrà trovato il giorno dopo. In un autunno ancora arido come un’estate interminabile Elena cercherà rifugio al Faggio rosso, casa piena di ricordi in Umbria che ha ereditato dalla madre, la casa di vacanze di quando era piccola e diventata poi la casa di famiglia. A questo punto la realtà agguanterà Ettore prima che sia pronto ad affrontarla e dovrà cominciare a riflettere sul suo matrimonio e sulla scatola nera in cui lui ed Elena hanno rinchiuso le loro incomprensioni reciproche, ma anche tutti gli irrisolti della loro vita: la perdita della madre quando era bambina da parte di lei, un lutto mai elaborato, il conflitto col padre di lui che lo ha portato, per essere accettato, a rinnegare tutte le sue aspirazioni e ad aderire all’ideale di un progresso illimitato, ricevuto dal padre e che lo ha condotto a una scriteriata e spregiudicata attività di costruttore edile. All’inaspettata partenza di Elena e sotto un’improvvisa pioggia torrenziale Ettore non troverà altro da fare che svegliare i figli all’alba e mettersi in macchina per raggiungere Elena in Umbria.

E’ da questo punto in poi che il dolore privato di Elena ed Ettore assume una portata più vasta, che scombussolerà il loro rapporto col mondo e farà saltare tutte le categorie con le quali avevano considerato la vita fino a quel momento. La realtà andrà loro incontro prepotentemente e si farà distopica. Una delle tante piene del Tevere, così frequenti in questi anni, basti pensare al 2005, 2008, 2014, si trasformerà in un disastro ambientale con allagamenti e vasti crolli a Roma; frane, smottamenti e alluvione nella Valle del Tevere alla confluenza con l’Aniene, che renderanno impraticabili i collegamenti tra il Lazio e l’Umbria.

Raggiunta da un messaggio di Ettore che preannuncia il suo arrivo insieme ai figli Elena, nonostante il dolore e le lacerazioni che la percorrono, si mostra subito disposta all’accoglienza e alla cura. Inizierà a questo punto un periglioso viaggio di entrambi per ricongiungersi sotto un diluvio incessante che ha tagliato in due il territorio percorso dal fiume tra la zona di Penne e il Viterbese. Comincia così quella riflessione sul cambiamento climatico e sul disastro ambientale che se per Elena era già iniziata attraverso l’attività di traduttrice per Ettore avviene sulla spinta degli eventi e dei figli che rivelano quella sensibilità e consapevolezza verso il futuro del pianeta oggi presente in modo più urgente e vivo nei giovani.

I protagonisti attraversano il diluvio simili ai migranti nel Mediterraneo e incontrano nella seconda parte del testo diversi personaggi secondari, più o meno convincenti, che come aiutanti magici forniscono assistenza e doni che porteranno a maturazione il confronto finale tra i due protagonisti e saranno di stimolo agli stessi ragazzi, che vivranno nel viaggio straordinarie occasioni di crescita personale. C’è Ada, l’anziana ginecologa amica di Elena, esempio forte di donna che ha saputo vivere sola e sa trovare in sé sempre nuove risorse e nuovi interessi anche nella vecchiaia. C’è Ove ingegnere norvegese che, innamoratosi dell’Italia, ha comprato una casa diroccata in Umbria dove vuole vivere facendo il contadino con la sua compagna da cui aspetta un figlio. Guido è un affascinante cercatore di tartufi che vive nei boschi col suo cane Orzo, crea sculture con materiale riciclato o ricavando forme suggerite dai pezzi di legno che raccoglie e per questo ricorda altre figure letterarie. Al centro della narrazione viene messo, nella seconda parte del romanzo, il territorio dell’Alta Tuscia e una diffusa rete di relazioni e di resistenza individuale o collettiva che già da tempo cerca di “ aprire porte su altri mondi possibili”, come riflette Elena verso la fine del romanzo. C’è Iroko, la donna che viene dal paese di Hiroshima e Nagasaki e scampata al disastro di Fukushima; insieme al marito e ad altri sopravvissuti ha creato una piccola comunità che si dedica all’agricoltura naturale e ad altre attività. Ci sono le strane monache del convento di Vitorchiano, provenienti da diverse parti del mondo, che nei cavaux del convento conservano a basse temperature semi antichi e rari in una banca del germoplasma in collaborazione con l’Università di Viterbo. Tengono in vita un antichissimo roseto, coltivano un bellissimo orto praticando la permacultura e con i frutti producono marmellate in un attrezzatissimo laboratorio.

In un testo in cui forse si è guardato più alle ragioni del racconto che allo stile e che sembra pronto per una trasposizione cinematografica l’autrice ha avuto il merito di porre in forma narrativa temi relativi all’emergenza ambientale che da anni ci minaccia e che sembra prossima a un punto di non ritorno.

I personaggi esprimono lo smarrimento, ma anche la resilienza, la speranza, la ricerca di forme di vita alternative e solidali che si ispirano all’ecosistema delle foreste, dei funghi. Vengono citate autrici di fantascienza come Ursula Le Guin, la femminista Donna Haraway, libri come “La rivoluzione del filo di Paglia”, saggio di Masanobu Fukuoka sull’agricoltura naturale.

L’ammonimento alla necessità di un cambiamento è già nell’esergo del libro: “Ci troviamo a vivere sulla Terra in tempi confusi, torbidi e inquieti. L’obiettivo è diventare capaci di articolare una risposta accanto a chi, della nostra specie, è troppo sicuro si sé e del mondo”. (Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, 2019) .

Il libro è stato scritto nel 2017 ed è nella dozzina dei candidati al premio Strega.


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