Fammi parlare

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Un libro sulla comunicazione, le fake news, l’odio mediatico e la libertà di stampa  a cura di Tiziana Ciavardini e Marino D’Amore

L’intento del volume scritto da Tiziana Ciavardinie Marino D’Amore è analizzare lo stato di salute dell’informazione in Italia e nel mondo. L’Articolo 21 della nostra Costituzione esprime due principi complementari e indissolubili: la libertà del giornalista di poter informare e il diritto del cittadino ad essere informato.

Fammi Parlare (Primiceri editore – 150 pagine, euro 15) scandaglia i fondali della comunicazione per farne emergere i diritti e le libertà, gli elementi della deontologia, dell’etica professionale e umana.

Un volume che raccoglie l’introduzione del presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), Giuseppe Giulietti, la prefazione di Valerio De Gioia (Giudice) e la postfazione di Gian Mario Gillio (responsabile relazioni esterne e rapporti istituzionali della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e portavoce del Circolo Articolo 21 Piemonte). In copertina il disegno di Mauro Biani dedicato al tema comunicazione.

Abbiamo rivolto alcune domande a Tiziana Ciavardini e Marino D’Amore.

Nella quarta di copertina si legge «un testo per giornalisti, comunicatori, “navigatori del web”, “influencer”, per tutta la società contemporanea». Perché rivolgere la vostra attenzione a un pubblico così vasto?

«Perché la comunicazione è il comune denominatore di ogni società ed è l’elemento che ne permette la sopravvivenza nel tempo, soprattutto che ne caratterizza le relazioni. Quindi, la consapevolezza di dover comunicare bene dev’essere una necessità condivisa. Come disse Bauman, “il fallimento di una relazione, qualunque essa sia, ha alla base un fallimento di comunicazione».

Nella prefazione al volume il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Giuseppe Giulietti, afferma: «Questo libro, scritto con rigore e grande passione civile, può essere uno stimolo alla riflessione e soprattutto alla doverosa azione. Prima che sia troppo tardi», a cosa si riferisce quando parla di azione e soprattutto, annuncia quel «prima che sia troppo tardi»?

«Purtroppo negli ultimi anni stiamo assistendo a una deriva del sistema informazione, sia in Italia sia nel mondo; per questo motivo è importante tenere alta l’attenzione e agire, affinché questa deriva possa quanto prima essere recuperata. Adoperarsi per ottenere la fiducia è un impegno che spetta ai giornalisti, il rispetto verso la professione giornalistica sarebbe invece auspicabile. Talvolta non è così.  Sempre più spesso il giornalismo è sotto attacco. In molti paesi del mondo si cerca di mettere dei “bavagli” all’informazione. Questo fatto è molto preoccupante, le violazioni avvengono – oltre che in paesi noti e dei quali conosciamo la storia e le restrizioni alla libertà di stampa, quali la Turchia, l’Egitto, l’Iran, per citarne solo alcuni -, anche in paesi a noi non “lontani” come la Polonia, l’Ungheria e la Bielorussia. Per questo serve un’azione tempestiva, affinché sia garantita la libertà a tutte e tutti di poter raccontare ciò che accade nei propri paesi, nel mondo. E che sia garantita la possibilità, non solo ai giornalisti, di poter fornire un’informazione sana, veritiera e precisa. Garantire insomma un’informazione fruibile a tutta l’opinione pubblica».

Fammi parlare nasce dall’incontro professionale tra un’antropologa culturale e un sociologo della comunicazione.

«L’approccio alla comunicazione dev’essere sempre multidisciplinare, con questo libro abbiamo cercato di proporre “un’istantanea” sulla situazione reale della comunicazione e dell’informazione. Di offrire, dunque, uno sguardo comune con due punti di vista diversi: quello di un’antropologa e di un sociologo. Tuttavia, ben sappiamo che l’argomento può essere affrontato sotto altri aspetti, ugualmente validi e utili alla sua interpretazione».

Come avete suddiviso i capitoli del libro e con quale logica?

«Siamo partiti fornendo una visione generale, globale. Poi abbiamo trattato il tema “giornalismo” passando attraverso le sue tecniche e le scelte metodologiche, per poi citare le Carte deontologiche che accompagnano il lavoro dei professionisti dell’informazione. Infine, abbiamo voluto riprendere il Testo unico del Giornalista, con le ultime modifiche apportate nel gennaio 2021».

Quel sogno, desiderio (utopia?), che auspicate nel vostro libro, ossia la conquista di un’informazione libera e indipendente da condizionamenti e censure è davvero possibile? Soprattutto oggi e alla luce delle ultime notizie e relative alle intercettazioni avvenute nei confronti di colleghi giornalisti che si occupano di temi scomodi e scottanti?

«Il prossimo 3 maggio ricorrerà la Giornata nazionale per la libertà di stampa. Ricorda la Fnsi che in Italia nei soli primi cinque mesi del 2020 erano stati contati ottantatré episodi di minacce rivolte contro i giornalisti, la metà dei quali giunti via web e social; una impennata di atti intimidatori rispetto agli anni precedenti con una prevalenza di casi legati ad ambiti “socio-politici” (erano 37), rispetto a quelli collegati alla “criminalità organizzata” (10) o in altri contesti (36). Venti, invece, sono i giornalisti costretti a vivere sotto scorta, per tre dei quali è stata disposta una vigilanza “secondo livello”. Aspettiamo i dati relativi a tutto il 2020 e dei primi mesi del 2021. Pensiamo, in realtà, che non ci siano stati miglioramenti. La libertà di stampa è necessaria, vitale. Per ottenerla però è necessario intraprendere un percorso complesso sociale e culturale oltre che comunicativo. Pretendere un’informazione libera è un diritto. L’informazione resa disponibile e fruibile per tutti è una delle massime libertà. Libertà che dev’essere posta come base, colonna portante, in ogni società che intenda definirsi democratica e moderna».


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