Teatro dell’esilio. L’amaro miele cecoviano. Due deliziosi atti unici visibili su Rai Play

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Sapida, gustosa, inattesa serata televisiva (giorni or sono su Rai 5, adesso su Rai play) per un dittico di cechoviani atti unici che il giovane, quotatissimo Damiano Michieletto (allievo di Ronconi, fra i più affermati registi del teatro lirico) sceglie per tornare a mettersi in gioco con il “gran ventaglio” della la prosa d’Ottocento. Precipuamente mirata a “sovvertire” in sorriso autori (e atti unici) concepiti con penetrante vena di disincanto, melanconia, sostanziale incredulità nella potenziale attitudine della natura umana di “emergere” oltre i suoi sintomi di mediocrità, vanagloria, maldestra incandescenza.

D’intesa con lo Stabile del Veneto, il raffinato, ferratamente colto ‘mettrur en scene’ veneziano

sceglie di sfruttare il mezzo televisivo “per continuare a far vivere il teatro e portarlo dove ancora lo si può fare”. Di necessità virtù e in un momento in cui poco si sa sul futuro dello spettacolo dal vivo al di là dei periodici “rabbonimenti” o “mediazioni” del Ministro Franceschini (giacendo nella dimenticanza il mai seriamente “sostanziata e ristrutturato” Fondo Unico per lo Spettacolo).. Così, con un lavorando su Cechov, e nello specifico L’orso e La proposta di matrimonio. Michieletto ha preso in mano un pilastro della drammaturgia comica “per dargli una chiave di lettura nuova scavando nelle crepe dell’animo di alcuni personaggi” In che senso? Riannodando il loro inconsapevole profilo buffo, le loro fragilità connaturate. le particelle elementari più recondite dei singoli caratteri e umane tipologie (antiche, se vogliamo, quanto il teatro di Plauto e Menandro).

A vestire i panni di questi personaggi, in uno spettacolo registrato lo scorso dicembre, emerge un cast di cinque attori “di razza” che, saliti sul palcoscenico della sala vuota del teatro Goldoni di Venezia, si rivolgono (inascoltati?) ad un pubblico immateriale che “ci si sforza” di intravedere al di là dello schermo e della “quarta parete”

Giancarlo Previati, Petra Valentini, Edoardo Sorgente, Andrea Pennacchi e Nicola Stravalaci animano così (senza soluzione di continuità) uno spettacolo disinvoltamente calligrafico che si avvale, inoltre, delle scene di Paolo Fantin, dei costumi di Carla Teti e delle luci di Alessandro Carletti. La regia televisiva è di Daniela Vismara.

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«Il motivo per cui si torna a proporre il teatro in televisione è per sfruttare, un periodo in cui il pubblico non può andare in sala, un medium che possa portare in ‘casa d‘altri’. magari a sorpresa o non richiesto, il teatro e la creatività drammaturgico-realizzativa|” – scrive Michieletto nelle note di regia ai suoi “Atti Unici”. – Vi era la possibilità di usufruire di un certo spazio all’interno della programmazione culturale?. Benissimo. “In poche settimane siamo riusciti a fare tutto, anche se il mezzo televisivo non potrà mai sostituire l’opera dal vivo-ma rendervi testimonian”.

La scelta di Michieletto (per il palinsesto di Rai 5) cade su due pièces  provvide di “elementi leggeri e brillante all’interno dell’intreccio e della struttura espositiva: “Un mix che possa far respirare lo spettatore” in questi mesi dal fiato corto.

“Quale autore migliore scegliere se non il drammaturgo russo, medico di professione e in grado di raccontare la realtà con una veridicità e leggerezza velata da piccoli e sottili dettagli di profondità?”

Del resto, la vibratile. soffusa “comicità involontaria” per la quale Cechov si distingue da altri autori genericamente dotati di senso dell’umorismo è qui distillata a partire da minimi dettagli narrativi. Affinchè la scrittura del drammaturgo russo, non ecceda mai nella farsa ma lasci al racconto un tono lieve e acre vacuità: sulla umana tendenza ad evaporare come figurine d‘epoca. Già remote, anacronistiche al loro palesarsi.

L’amaro miele di Cechov- avrebbe suggerito Gesualdo Bufalino.


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