La Birmania, la Russia e noi 

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Aung San Suu Kyi, Aleksej Naval’nyj e altri testimoni e protagonisti del nostro tempo ci appartengono. Appartengono ai nostri sogni, alle nostre lotte, alle nostre speranze tradite, al nostro immaginario collettivo ma, soprattutto, all’idea di don Milani secondo cui tutto ciò che avviene nel mondo mi riguarda. “I care”, per l’appunto, mi prendo cura, presto attenzione, non rimango indifferente: è il valore più bello, il punto di riferimento delle nuove generazioni, purtroppo private di partiti e istituzioni all’altezza, specie in Italia, ma ancora capaci di indignarsi per ciò che accade altrove. Del resto, di fronte a ciò che sta avvenendo in molte parti del mondo, il silenzio sarebbe inaccettabile. Ci sono momenti, nella storia, in cui tacere significa essere complici della barbarie e questo è senza dubbio uno di quei passaggi.
Opporsi a ogni regime, a ogni dittatura, allo scempio cui stiamo assistendo in Polonia a proposito dell’aborto, nella Bielorussia di Lukašėnko, nella Russia di Putin e nella Birmania dei militari, senza dimenticare l’Egitto di al-Sisi che tiene ancora indegnamente prigioniero Patrick Zaki, la Libia dei lager e delle violenze disumane ai danni dei disperati in fuga verso un futuro migliore e il Brasile di Bolsonaro in cui l’Amazzonia viene depredata e gli indios condannati di fatto a morte, opporsi a questo incubo planetario significa essere, per dirla con Gramsci, “cittadini e partigiani”.
È in atto un regresso globale, con tanto di elogio strumentale dei metodi sauditi e, di conseguenza, di tutto ciò che essi comportano, dall’omicidio di Jamal Khashoggi alla mattanza in corso nello Yemen; un regresso in cui una delle poche voci che si oppongono all’abisso è quella di papa Francesco, punto di riferimento di quanti non  si rassegnano alla scomparsa dell’uomo non solo da ogni progetto di sviluppo ma anche dal percorso della collettività. La mercificazione dell’essere umano, la sacrificabilità delle persone in nome del profitto, l’orrore del disimpegno, del menefreghismo e della coltivazione del proprio piccolo orto sta, infatti, conducendo il pianeta sull’orlo di una nuova guerra, la Terza guerra mondiale a pezzi da cui sempre il Papa ci ha messo in guardia già anni fa.

Naval’nyj, Aung San Suu Kyi, i ragazzi di Hong Kong guidati da Joshua Wong e chiunque si batta, ovunque, per un’idea di giustizia, dignità, libertà e democrazia, dunque, ci riguarda e non possiamo voltarci dall’altra parte. Anche perché, specie in un mondo globale, non c’è problema che non finisca prima o poi col coinvolgerci o, peggio ancora, col travolgerci.

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