Tessere

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(su Repubblica di Genova di oggi)
Da qualche anno conservo gelosamente nel portafoglio, oltre a una consunta quanto preziosa tessera dell’ordine degli avvocati rilasciatami diversi lustri fa (la stessa che ho sbandierato a mo’ di scudo, se non di arma, in diverse occasioni durante il G8 di Genova o in altri contesti di violazione dei diritti umani), anche il tesserino, decisamente più recente, da giornalista pubblicista.
Il momento della sua consegna è uno dei miei ricordi più felici (e uno dei pochi festeggiati) degli ultimi faticosi anni. Queste due tessere, le responsabilità ad esse sottese e conseguenti, mi rendono talvolta accessibili luoghi non altrimenti raggiungibili, consentendomi di diventare spettatrice più o meno attiva e persino, seppure raramente, infelice protagonista di situazioni di solito sottratte alla vista dei comuni cittadini. Penso alle infinite visite in tutti i luoghi di privazione di libertà per migranti: centri di permanenza temporanea, centri di identificazione e espulsione, centri di permanenza per il rimpatrio e hot spot, in poche ma oneste parole, gabbie per migranti, diversamente denominate a seconda della legislazione vigente e del grado di ipocrisia.
O agli ingressi in carcere oltre che, ovviamente, nelle aule di giustizia.Il tesserino da avvocato davanti alla scuola Diaz, nel luglio 2001 così, come nel maggio dello scorso anno in piazza Marsala quello da pubblicista, mi hanno consentito di assistere quale impotente testimone a violenze ancora più indecenti e intollerabili perché perpetrate da divise su cittadini e giornalisti inermi.
Durante il lockdown la titolarità di questi due ruoli, mi ha garantito, insieme alla sottoscrizione di innumerevoli e mutevoli autocertificazioni, la possibilità di percorre chilometri a piedi per raggiungere lo studio e addirittura se necessario di sconfinare in treno fuori dalla Regione. Negli ultimi giorni, segnati da due sconfitte di giustizia, ho sentito più che mai la fatica e l’orgoglio del possedere entrambe queste preziose, esigenti qualifiche.
Non ci e’ stato consentito come avvocati di Fnsi, dell’ordine e dell’associazione dei giornalisti di costituirci parte civile al fianco di Stefano Origone, picchiato mentre svolgeva la sua preziosa funzione di professionista dell’informazione e, pochi giorni dopo, abbiamo visto assolvere in appello per insufficienza di prove il sergente della Guardia nazionale Ucraina già condannato in primo grado per concorso nell’omicidio dell’eccezionale fotoreporter Andrea Rocchelli. Ma all’amarezza di queste ore si sovrappone, come una gravosa cura, la fierezza, mai consapevole fino ad oggi, che quelle tessere concedono e impongono. Il dovere e l’orgoglio di stare, come scrivevamo già all’indomani del G8, da quella che taluni considerano “la parte del torto”. Armati solo di toga, parole, principi costituzionali e penna, contro poteri e ingiustizie che appaiono inevitabili e indistruttibili. In battaglie che sembrano solitarie ma che sono invece sostenute dalla speranza composta di una moltitudine di cittadini che pretendono insieme a noi la difesa dei diritti inviolabili, consapevoli che, con o senza tesserini, “tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la
realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”, come previsto dalla dichiarazione Onu sui difensori dei diritti umani.

*Repubblica di Genova

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