“Non cosa posso comprare, ma cosa posso dare agli altri”. Il messaggio di papa Francesco alla giornata dei poveri

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Consapevole – anche il papa lo sa-  che il Natale si avvicina, Francesco ne ha presentato una visione diversa: “Si avvicina il tempo del Natale, il tempo delle feste. Quante volte, la domanda che si fa tanta gente è: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi a comprare”. Diciamo l’altra parola: “Cosa posso dare agli altri?”. Per essere come Gesù, che ha dato sé stesso e nacque proprio in quel presepio.” E in che omelia l’ha detto? Quella per la giornata mondiale dei poveri, che ricorre nel giorno in cui in tutte le Chiese si legge la parabola dei talenti, uno dei testi più importanti del Vangelo perché qualcuno ci ha voluto vedere un “vangelo imborghesito”, al quale poi alcuni hanno addirittura dato il carattere di vangelo della prosperità. Nel testo un padrone, partendo per un viaggio, affida autentiche fortune ai suoi servi: chi ha di meno riceve lo stipendio di vent’anni. Tutti li investono e guadagnano, mentre chi ne ha avuto un solo talento – comunque un’enormità- lo nasconde sotto terra. Al suo ritorno il padrone ricevette dieci da chi aveva avuto cinque e così via. Ma il servo che aveva nascosto il talento restituì l’avuto e basta. “Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo.” La risposta appare cristallina: avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Di qui un cristianesimo mai udito prima ha teorizzato che un “vangelo imborghesito” ci dice che chi è povero ha un problema con Dio, ha sbagliato!

Dunque la scelta di Francesco in questa giornata per farne la festa dei poveri è importante anche per capire cosa sia il cristianesimo di cui si parla nel testo. E il papa lo ha spiegato in modo comprensibile a tutti, anche a chi non ha dimestichezza con i Vangeli o magari preferisce leggerli con le lenti dic un “vangelo imborghesito”.

Il primo punto è che il padrone, partendo, non va in banca, ma affida i suoi beni ai suoi servi. Dunque il padrone di loro si fida, anche di quello che avrà paura e nasconderà quanto avuto. Si arriva quindi al punto centrale: il servizio. Il padrone al ritorno li chiama come a chieder loro: mi avete servito? Ecco la prima novità che lascia di stucco i teorici del “vangelo imborghesito”: “ Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo. Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere noi doni per gli altri. E qui, fratelli e sorelle, ci facciamo la domanda: io seguo i bisogni, soltanto, o sono capace di guardare a chi ha bisogno? A chi è nel bisogno?”

Il papa però sa che rischiare è pericoloso, e il pericolo comporta sempre delle possibili conseguenze: “Se tu non rischi, finirai come il terzo [servo]: sotterrando le tue capacità, le tue ricchezze spirituali, materiali, tutto”. La seconda verità è ancora più forte, essendo personale, perché chi rischia può anche commettere qualche errore: “È triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti. Quei cristiani “misurati” che mai fanno un passo fuori dalle regole, mai, perché hanno paura del rischio. E questi, permettetemi l’immagine, questi che si prendono cura così di sé stessi da non rischiare mai, questi incominciano nella vita un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie. Questo non basta, non basta osservare le regole; la fedeltà a Gesù non è solo non commettere errori, è negativo, questo.”

Nei giorni in cui una visione “imborghesita” del vangelo sembra cercare di mettere in crisi la sua certezza che senza i poveri non si capisca il Vangelo, che basta essere in regola per stare a posto con la coscienza, che tutto il gioco cristiano sia “sulla difensiva”, che si possano sempre chiudere gli occhi visto che non esiste un comandamento che imponga di stare con gli occhi aperti, la visione di Francesco si manifesta in tutta la sua qualità ed efficacia: “ Come dunque servire secondo i desideri di Dio? Il padrone lo spiega al servo infedele: «Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse» (v. 27). Chi sono per noi questi “banchieri”, in grado di procurare un interesse duraturo? Sono i poveri. Non dimenticate: i poveri sono al centro del Vangelo; il Vangelo non si capisce senza i poveri. I poveri sono nella stessa personalità di Gesù, che essendo ricco annientò sé stesso, si è fatto povero, si è fatto peccato, la povertà più brutta. I poveri ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore. Perché la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. La più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. Il Libro dei Proverbi loda una donna operosa nell’amore, il cui valore è superiore alle perle; è da imitare questa donna che, dice il testo, «stende la mano al povero» (Pr 31,20): questa è la grande ricchezza di questa donna. Tendi la mano a chi ha bisogno, anziché pretendere quello che ti manca: così moltiplicherai i talenti che hai ricevuto.” Questa omelia sembra confermare che al cuore di certi attacchi a Francesco, che in queste ore a Raniero La Valle hanno ricordato quelli che ci furono contro Giovanni XXIII,  ci siano proprio i poveri.


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