Il caso Assange ci riguarda da vicino

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ll caso di Julian Assange, artefice delle rivelazioni di WikiLeaks nel 2010 e ora detenuto in un carcere di massima sicurezza in Gran Bretagna, a grandi linee è ben noto a tutti. Quello che colpisce negli ultimi due anni è il silenzio quasi totale sulla sua vicenda, soprattutto sul processo iniziato il 7 settembre scorso a Londra, in cui si sta decidendo la sua estradizione negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni di carcere. Un giornalista trattato come un capo terrorista. E il processo britannico è ben lungi dall’apparire equo e indipendente, viste anche le forti pressioni degli Stati Uniti.

Al Parlamento europeo il 25 novembre è stata votata dai deputati collegati in remoto una risoluzione non legislativa sulla libertà di stampa. È stata approvata con 553 voti favorevoli, 54 contrari e 89 astensioni (tra queste ultime anche quelle di Lega e Fratelli d’Italia). Ma sempre in plenaria era stato presentato dal gruppo Gue (sinistra) un emendamento, il 44, alla relazione sui diritti fondamentali nell’UE per gli anni 2018 e 2019 che citava espressamente il caso di Assange. A sostenere l’emendamento, tra gli italiani, solo il Movimento 5 stelle. L’emendamento non è passato perché altri gruppi – S&D e Renew – hanno presentato un emendamento alternativo molto più blando dove il nome di Assange non veniva fatto. Come M5S abbiamo sostenuto entrambi gli emendamenti, prima il 44 e poi quello di S&D e Renew.
Non capisco che cosa abbia spinto a tutta questa cautela. Non si trattava certo di una presa di posizione rivoluzionaria. Era un accenno al caso Assange, un sostegno, in concomitanza di un processo che si svolge in un Paese uscito da poco dall’Unione Europea e su cui gli Stati Uniti stanno facendo evidentemente molta pressione. La cosa mi ha colpito ancora di più perché quello stesso giorno ho parlato in plenaria delle querele temerarie come attacco e ricatto nei confronti dei giornalisti anche in Paesi democratici. Ma il caso del cofondatore di WikiLeaks, in termini di attacco alla libertà di stampa, è gigantesco.
Va detto a voce alta. L’arresto, la tortura psicologica, le arbitrarie e sospette manovre legali e governative per incastrare Assange, probabilmente costituiscono il caso più eclatante di violazione della libertà di stampa nel mondo degli ultimi dieci anni. Contro il trattamento subito dal giornalista e attivista australiano sono del resto già intervenute altre autorevoli istituzioni.
Il 28 gennaio scorso, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, nella risoluzione 2317 (2020) approvava all’unanimità un emendamento con cui chiedeva ai Paesi membri di considerare la detenzione e i procedimenti penali contro Assange un precedente pericoloso per i giornalisti. L’anno scorso, Nmils Melzer, inviato speciale dell’Onu contro la tortura ha accusato senza mezzi termini di tortura psicologica Gran Bretagna, Svezia, Ecuador e Stati Uniti. Anche per le Nazioni Unite, l’estradizione di Assange negli Stati Uniti dev’essere vietata. E la sua detenzione è ingiusta e ingiustificata.


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