‘Oggi è già domani’, un tuffo nella NY degli anni ‘80

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“Mi trasferii a New York poco tempo dopo che mia madre aveva ucciso mio padre… o fu mio padre a uccidere mia madre? In ogni caso, uno dei due accoppò l’altro in una foschia rossa di sangue e ossa rotte”. 

E’ con queste parole che si apre “Oggi è già domani” di Jarett Kobek, in libreria dal 6 agosto con Fazi Editore (610pp, 18Euro) nella collana ‘Le Meraviglie’: siamo nella Grande Mela, settembre 1986. Il narratore – che ha scelto di farsi chiamare Baby senza rivelare mai il suo vero nome – è un ragazzo venuto dal Mid West cercando di fuggire al suo passato e rifarsi una vita nella metropoli. Appena arrivato va a stare da un lontano amico che, strafatto di eroina, cercherà di derubarlo. E’ in quell’occasione che incontra Adeline, una ventenne aspirante fumettista che sta fuggendo, a sua volta, da un fidanzato violento. Il rapporto tra i due, così diversi ma in qualche modo intrinsecamente legati, è destinato a durare nel tempo, sullo sfondo di quella NYC a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 fatta di club, drag queen, eroinomani e artisti: un laboratorio urbano in cui reinventare la propria identità in vista del nuovo Millennio. In questo romanzo fluviale – caratterizzato da un linguaggio schietto, diretto e da dialoghi pungenti ed incalzanti – che si snoda come un diario a due voci rivolto al lettore, accompagniamo Baby e Adeline attraverso gli anni, da New York alla West Coast, dai locali ai club letterari – Baby lascerà la ‘terra dei club’ per diventare uno scrittore – in cui appaiono come camei Bret Easton Ellis ubriaco e Norman Mailer a caccia di ragazzine. Non mancano i riferimenti ai tantissimi film e ai giornali dell’epoca in cui risaltano nullità al fianco di grandi celebrità in un mondo in cui tutto ciò che conta è essere in evidenza. Nella sua narrazione Kobek non perde mai di vista il costo umano dell’apparire, né dimentica chi vive ai margini di quella città gentrificata.  NYC è infatti una metropoli che (r)accoglie tutti: ricchi e poveri, pazzi, ciarlatani, e aspiranti rivoluzionari che si muovono tra cocaina, hashish, acidi e la minaccia incombente dell’AIDS. Baby e Adeline oscillano in bilico costante tra finzione e realtà, tra personaggi immaginari ed episodi realmente accaduti che riempivano lo skyline di una città oggi scomparsa, svanita.

Con questo nuovo affascinante romanzo – che si pone come una sorta di ‘prequel’ rispetto al precedente “Io odio internet”, pubblicato in Italia, sempre da Fazi, nel 2018 – Kobek si concentra sugli effetti corrosivi della celebrità e lo svilimento del discorso pubblico, qui non ancora mediato da internet, ma dai party letterari e dai circuiti della vita notturna. Personaggi convincenti e una scrittura geniale che pecca solo nel soffermarsi, talvolta eccessivamente, sulla critica di film visti, via via, dai protagonisti. Un piccolo prezzo da pagare tuttavia per un romanzo che analizza con consumata abilità la vita culturale newyorkese di fine secolo.

“Tutto torna sempre a clublandia. In realtà l’America è una discoteca e tutti vogliono stare nel privé. Tutti vogliono essere favolosi”.


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