‘Zenzero’. Riflessioni sopra una copertina

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Evoca mondi distanti. Luoghi di delizie: viaggi a dorso di cammello, steppe, vaste praterie. Proprietà a lungo considerate magiche, forse a causa del suo rizoma rugoso, ruvido, vagamente antropomorfo.

Zenzero è il titolo di un libro pubblicato da Feltrinelli nel 1959: l’autore è invece un tale J.P. Joanleavy, di cui ignoro tutto.

Il libro, sono quasi certo, non lo leggerò mai.

Qualche tempo fa, estraendo il volume da una scatola inumidita per la pioggerellina incessante, in un mercato delle pulci, tra altri volumi che per un euro potevano essere sottratti al macero benché molti di loro lo meritassero, mi sono impossessato di una delle più belle copertine firmate da Albe Steiner.

Zenzero, senza grazie, in Helvetica, occupa, dal basso verso l’alto, quasi l’intera porzione centrale della gabbia. Le lettere disassate e parzialmente sovrapposte, s’alternano in nero e arancione. Attorno, come un pacato vortice, una cornice, il testo ha un lettering più minuto: al piede, sempre parallele al lato lungo si legge ‘romanzo’ sulla sinistra in corsivo nero − e ancora dall’alto verso il basso − su sfondo arancio e, in senso opposto, a destra ‘Feltrinelli’ in bianco su sfondo nero. Fa da cappello al nome dell’editore, stavolta in orizzontale, il nome della collana e il numero uno. Il font questa volta è un classico Garamond, lo stesso utilizzato per il nome dell’autore in corsivo e del titolo, ripetuto in posizione convenzionale ma in nero su di una banda arancio che s’appoggia allo ‘Zenzero’ verticale.

La semplice grazia di questa combinazione magistrale di lettere e colori giustifica da sola, inaspettatamente, l’esistenza dell’edizione. E se Steiner, qualche anno prima di morire si chiedeva, non senza amarezza, a cosa fosse servito il suo lavoro, forse una delle tante risposte, non certo la sola, avrebbe potuto essere che il suo lavoro, in maniera infinitesimale avevo reso più bello il mondo.


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