Fellini, Paul Ronald e il fotografo di scena

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Come è noto a chi ha esperienza di set, il fotografo di scena è un ruolo tecnico non secondario nell’ambito della troupe, il cui compito consiste nel documentare ogni sequenza, e possibilmente ogni inquadratura del film, posizionandosi ‘in asse’ alla macchina da presa in modo da riprodurne l’esatto punto di vista: l’angolazione, l’ottica, l’esposizione, la luce, ma anche la scenografia, i costumi, il trucco, la posizione degli attori e il loro interagire. E’ un mestiere, anzi una professione, di cui si parla poco, perché non partecipa direttamente al processo creativo del film, svolgendo piuttosto una funzione di appoggio alla catena produttiva. Infatti dalle fotografie di scena viene da sempre ricavato il materiale visivo indispensabile alla distribuzione e al noleggio per il lancio commerciale della pellicola: la stampa delle ‘buste’(riproduzione di ingrandimenti fotografici esposti in bacheche esterne alla sala, protette da vetro o retina), locandine, affiches, flani, manchette, manifesti. In sostanza tutto il complesso del materiale pubblicitario, a iniziare dai giganteschi cartelloni stradali, ricordate?, i poster di dieci o dodici fogli, una volta assai frequenti, oggi ormai rari, che illustravano spesso le scene salienti della storia, rese ancora più avvincenti dalla mano di celebri maestri del disegno, veri ‘pittori di cinema’ come Silvano “Nano” Campeggi, Enrico De Seta, Sandro Simeoni. Le situazioni, rielaborate a volte con estro malizioso, erano fedelmente riprese dal corredo fotografico.

Dalle fotografie di scena di Pierluigi Praturlon ho realizzato per Editalia il lussuoso volume su La dolce Vita: cinquecento scatti selezionati passando al setaccio il suo archivio. Pierluigi non aveva mai più messo mano ai negativi del film dal tempo delle riprese: un deposito di quasi tredicimila scatti! Fui in grado di ripercorrere la traccia di ogni giornata di ripresa de La Dolce Vita scorrendo e scrutando alla lente le fotografie realizzate sui set, compresi i fuori scena che da fotografo di razza non si era lasciato sfuggire durante le pause tecniche e i vuoti di ripresa, componendo una seconda cronaca parallela al racconto filmato. L’occhio di Pierluigi era instancabile nel perlustrare ogni angolo, ogni atteggiamento del regista, attori, comprimari, comparse, personaggi in visita, sorpresi nei momenti di stanchezza, noia, abbandono. Un autentico teatro di ombre bianche.

Tazio Secchiaroli, un fuoriclasse, era stato l’ispiratore di Paparazzo, il simpatico fotografo, cinico e spregiudicato, onnipresente nella Dolce Vita, pronto a qualsiasi azzardo pur di mettere in carniere il servizio in esclusiva. Nel film il personaggio è interpretato da Walter Santesso, ed è ricalcato sulla figura felina, da predatore, di Tazio, come fu immortalato da un collega mentre sfugge alle grinfie di Walter Chiari sorpreso in flagrante con Ava Gardner (sposata Frank Sinatra). Una situazione che viene riproposta pari pari nella sequenza di via Veneto in cui Anita Ekberg (Sylvia nel film) viene presa a schiaffoni dal marito (Lex Barker) quando rientra all’alba all’Hotel Excelsior in compagnia di Marcello (Mastroianni).

Fellini e Tazio erano diventati amici. E non c’è film del regista riminese di cui Secchiaroli non abbia calcato il set, inventando reportage memorabili.

Nel film 8 ½, fotografo di scena era Paul Ronald, mentre Secchiaroli, munito dell’inseparabile Leika, fu chiamato a esprimere la sua vena più autentica di rapace: la velocità dello sguardo, la malizia del carattere, l’istintiva abilità di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto: infallibile nel catturare e restituire sottotesti di folgorante verità.

Poi c’era Franco Pinna, l’artista. Era un puma in agguato, silenzioso, quasi invisibile sul set, con il suo giaccone verde militare dalle molteplici tasche, e due macchine fisse a tracolla. Pinna era specializzato nel ghermire la preda che gli altri non vedevano; con rapidità felpata arrivava all’agguato esattamente con quell’attimo di anticipo indispensabile a sfruttare il fattore sorpresa. Aveva saputo cogliere i momenti più intensi di Fellini, momenti rivelatori (il suo volto truccato da clown). Ma sarebbe improprio parlare di ritratti, quasi mai i suoi erano scatti ‘posati’; eppure non c’erano sfocature; e non parlo ovviamente di messa a fuoco della lente, bensì del nitore del ‘soggetto’ catturato in quell’unica irripetibile espressione. Pinna era un fromboliere, un arciere con la freccia incoccata, che si identificava con il bersaglio. Un fotografo zen, capace di vedere l’immagine una frazione di secondo prima che prendesse forma.

Mimmo Cattarinich, era stato il reporter di grazia del decennio successivo. Aveva trascorso gran parte della vita professionale a pedinare i film di Fellini. Tra i fotografi della sua generazione Cattarinich possedeva il tocco più glamour; non era un predatore, ma piuttosto un elegante uccello del paradiso che svolazza lieve attorno all’oggetto del desiderio. Amava la bellezza femminile, la accarezzava, la levigava, la indagava in ogni seduzione, ne rivelava la fragilità, la vulnerabilità, i trepidanti cedimenti. Per queste sue caratteristiche era spesso chiamato da Playboy a realizzare gli ‘speciali’ del film. Servizi indimenticabili. Amico devoto di Fellini rispondeva con entusiasmo alle sue convocazioni, felice di poter trascorrere ancora una stagione a contatto con quel genio incantatore, ascoltarlo, assorbirne il pregiato nutrimento. Fu lui che scattò le fotografie dell’ultimo set del Maestro, la realizzazione per un famoso gruppo bancario di una serie di microfilm pubblicitari, tre capolavori, in cui al fianco di Paolo Villaggio e Fernando Rey appariva una giovanissima e radiosa Anna Falchi.

Del francese Paul Ronald abbiamo accennato per 8 ½  e ora, in occasione del Centenario, Antonio Maraldi, il benemerito direttore del Centro Cinema Città di Cesena, ripropone una raccolta molto ghiotta di sue fotografie con un titolo calamitante: 8 ½ di Federico Fellini nelle fotografie inedite di Paul Ronald (Società Editrice «Il Ponte Vecchio»). Una sessantina di scatti dell’opera magistrale del regista, di cui dieci a colori, impagabili; dal momento che il film era girato in bianco e nero e nessuno avrebbe mai saputo quale fosse la cromaticità dello scenario e lo sfarzo dei costumi realizzati da Piero Gherardi. “Il quale – testimonia l’autore delle foto – ideò per Barbara Steel degli abiti straordinari, in anticipo su quelli disegnati tre anni dopo da Mary Quant a Londra”.

L’interno del Grand Hotel delle Terme risulta un autentico splendore. E le signore! Madeleine LeBeau, Edi Vassel, Caterina Boratto. Sandra Milo, Barbara Steel, Anouk Aimée, sembrano bambole in attesa, figure uscite da un romanzo Kawabata o di Tanizaki. Il colore anziché approssimarle a noi, le distanzia, le rende astratte e sensuali come sogni inafferrabili. Dev’essere questo il vero talento di Ronald, imprigionare l’aura che c’è attorno ai personaggi. Marcello ostenta in qualche momento una bellezza da modello, Claudia Cardinale ci fa palpitare. La scelta degli scatti non mostra ma rievoca il film, semplicemente ci introduce nel castello incantato di cui Federico è il mago burattinaio di una interminabile lavorazione di sei mesi, dall’8 maggio al 14 ottobre 1962. Paul, fotografo di Visconti fin da La terra trema, assaggia l’arte di Fellini ne Le tentazioni del dottor Antonio e abbandona Il Gattopardo per 8 ½ .

Maraldi racconta il colpo di fortuna con cui era entrato in possesso del suo archivio, una “scatola nascosta con più di 2.200 negativi, di cui centinaia di formato 6×6, e poi la sorpresa impensabile di 200 diapositive a colori”. Realizzati dal fotografo a proprie spese poiché non interessavano alla produzione!

I ricordi di Paul Ronald sfiorano il set con l’amabile leggerezza di un vero gentiluomo:

“Il clima era molto piacevole, spesso allegro. Rispetto a Luchino Visconti che richiedeva disciplina e silenzio assoluti, Fellini amava la confusione. Il suo set era molto più caotico e divertente. Un giorno aveva spronato tecnici e macchinisti con un: «Che c’avete oggi? Tutti mogi, tutti zitti. Fate un po’ di caciara!» Tutti avevano una tale ammirazione per lui, che non aveva bisogno di dare ordini.”

I numerosi momenti di intima comunione fra regista e primo attore:

“Tra Fellini e Mastroianni c’era una bella intesa, Nelle pause tra una scena e l’altra di tanto in tanto si appartavano, a volte chiacchierando fitto e scherzando, altre volte stando vicini e in silenzio. Quei silenzi, dal punto di vista fotografico, mi sono sempre piaciuti”.

E le attrici? “Caterina Boratto, la trovavo bellissima”; “Madeleine LeBeau, piuttosto vivace”; “La Saraghina era interpretata da Edra Gale, una soprano australiana venuta a Roma per perfezionare i suoi studi musicali. Era capitata sul set attirata da Fellini che allora funzionava come la luce per le farfalle notturne. Visto il viso e il fisico, Federico ebbe pochi dubbi nello sceglierla”.

La fotografia più singolare della collezione? Quella in cui la capo sarta Clara Poggi, genuflessa, sta ricucendo il fondo dei pantaloni a Fellini, in piedi, in camicia, a colloquio con la troupe.

La più rara? Sicuramente lo scatto del primo finale che fu poi tagliato nel montaggio definitivo e scomparve per sempre; mai più ritrovato, neppure tra le scatole di doppi e tagli. Si tratta della sequenza girata in un deposito riparazioni delle ferrovie dello stato, con tutti i personaggi del film vestiti di bianco raccolti nella carrozza ristorante, immobili come manichini, e alquanto spettrali. Imparagonabile allo spumeggiante finale che diventò poi la cifra stessa del film, il marchio di fabbrica del suo autore.

La foto più cinematografara? Tazio Secchiaroli che dorme seduto, accasciato dalla stanchezza, in mezzo a una montagna di sedie capovolte.

Quella in cui avrei voluto trovarmi al posto di Federico? L’istantanea in cui il regista, durante una pausa delle riprese, è seduto sulla soglia esterna di un portone e con distratta intimità tiene accoccolata in grembo Claudia Cardinale. Entrambi pensosi. Che invidia!


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