Coronavirus, New York Times racconta chi erano 1000 dei 100.000 morti

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Mike Field, 59 anni, Valley Stream, NY, first risponder during 9/11 attacks. Primo soccorritore durante gli attacchi dell’11 settembre. Mauricio Valdivia, 52, Chicago, voleva che tutti si nutrissero bene. Kamal Ahmed, 69, New York City, addetto al banco di hotel e leader bangladeshi. Loretta Mendoza Dionisio, 68, Los Angeles, sopravvissuta al cancro, nata nelle Filippine. Jordan Driver Haynes, 27, Cedar Rapéds, Iowa, giovane generoso, con un delizioso sorriso. Timothy Rossi, 68, Michigan, ha lavorato per più di 30 anni per General Motors: Arnold Obey, 73, San Juan, Porto Rico, educatore e maratoneta. Marylou Armer, 43, Sonoma Valley, California, detective veterana in polizia.

PERDITA INCALCOLABILE

Alcuni, solo alcuni dei centomila morti negli Stati Uniti per Coronavirus. Il New York Times ha pubblicato i nomi di mille di loro (uno per cento del totale), sull’intera prima pagina di domenica 24 maggio. Per ciascuno, una riga di biografia. Titolo: U.S. DEATH NEAR 100.000: AN INCALCULABLE LOSS”: negli Stati Uniti morti vicini a 100.000, un’incalcolabile perdita. Sottotitolo: “They Were Not Simply Names on a List. They Were Us”: non sono semplici nomi su una lista. Sono noi. Sommario: i numeri da soli non possono misurare l’impatto del Coronavirus sull’America.

“Un elenco lungo e solenne, mentre stiamo per raggiungere il tragico traguardo delle centomila vite perdute”, ha scritto lo stesso New York Times nella sezione Times insider, dove si spiega ai lettori cosa c’è dietro la scena degli articoli pubblicati. Il progetto è stato coordinato da Simone Landon, assistant editor del Graphic desk, che racconta: “A un certo punto abbiamo avvertito, fra di noi e anche fra i lettori, una certa stanchezza riguardo ai dati. Abbiamo voluto lavorare su chi erano i morti, sulle vite che hanno vissuto, su cosa significa per noi come Paese la loro perdita”.

GIORNALISTI E INGEGNERI

Una prima pagina unica nella storia del Times, che comincia nel 1851. Nemmeno una foto, niente grafici.

Un lavoro di perlustrazione degli annunci mortuari e delle biografie delle persone decedute, consultando soprattutto centinaia di giornali locali. Un impegno messo in campo dal giornale attraverso un team numeroso e vario, composto naturalmente da giornalisti di ogni livello (compresi tre studenti di giornalismo), ma anche -frontiere del giornalismo del futuro- il vice direttore del Digital news design, un ingegnere del software, Annie Daniel, e grafici e art director.

Marc Lacey, National editor, nella fase del progetto ha scritto a Tom Bodkin, chief creative officer del giornale: “Vorrei qualcosa che si leggerà per cento anni, per capire il prezzo di ciò che stiamo vivendo”.

Da professionereporter


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