Pellicani, Moss e Lauro: un aprile di dolore e morte

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Come se non bastasse il Coronavirus, questo morbo pressoché sconosciuto e letale al punto che ha paralizzato ben quattro miliardi di persone in tutto il mondo, stiamo assistendo a una serie di lutti che impoveriscono drammaticamente il nostro immaginario e il nostro panorama sportivo e intellettuale.
Abbiamo detto addio a Luciano Pellicani: uno degli artefici del Vangelo socialista che nell’agosto del ’78, spostando la linea del PSI craxiano dalla visione rivoluzionaria e massimalista di Lenin all’umanitarismo riformista di Bernstein e Proudhon, contribuì a modificare per sempre il corso della nostra vicenda politica. Pellicani: una persona squisita, un punto di riferimento per quanti non si arrendono alla pochezza e al vuoto del tempo che stiamo vivendo, uno che credeva nella politica e la amava con tutto se stesso, interpretandola come forma di evoluzione collettiva nell’ambito di un’innovazione costante, capace di condurre nella modernità radici antiche. Dio solo sa quanto avremmo bisogno, oggi, di un personaggio come lui, della sua capacità di stare spesso un passo indietro pur essendo anni luce avanti a tutti, della sua sobrietà e riservatezza, del suo stile moderato ma, al contempo, radicale. Un uomo di sinistra alla vecchia maniera, come purtroppo, temiamo, non ne nascono più.

Ben diversa è stata la parabola di Stirling Moss: uno dei piloti di Formula 1 più amati di sempre, uno che ha vinto molte corse ma mai un titolo mondiale, un precursore dello strapotere odierno della Mercedes, dotato un carattere indomito, coraggioso, mai disposto a invecchiare o a lasciarsi andare, tanto che cinque anni fa, a Monza, si divertì come un bambino a portare nuovamente in pista, a Monza, insieme a Lewis Hamilton, le sue monoposto degli anni Cinquanta. Un personaggio singolare e popolarissimo, dotato di un talento fuori dal comune e purtroppo mai baciato dalla fortuna che pure avrebbe meritato.
La scomparsa di Franco Lauro, infine, ci lascia davvero senza parole. Un collega all’inglese, come ha scritto giustamente Carlo Paris, uno di quelli che intendeva questo mestiere come una missione, senza sbavature e con una meticolosità ai limiti del maniacale.

Franco Lauro sapeva un po’ di tutto, e le rare volte che non sapeva studiava, così era pronto per qualunque telecronaca, per qualunque appuntamento, per ogni sfida, affrontando le vicende della vita con il piglio di un lottatore che non si spaventava di nulla ma non rinunciava mai al proprio naturale garbo e alla signorilità con la quale entrava nelle case degli italiani. Se mi venisse chiesto come dovrebbe essere un giornalista RAI, indicherei, fra gli altri, l’esempio di Lauro. Non ha mai cercato i riflettori, la notorietà, il potere, non si è mai concesso serate mondane o eccessivi momenti di svago. Ha letto tanto, amato lo sport, vissuto con straordinaria intensità e fatto dell’abilità narrativa il valore aggiunto della sua notevole professionalità.
Ci mancheranno molto, ognuno per ragioni diverse. Tre appigli in meno in un periodo nel quale avremmo, invece, un disperato bisogno di ancore alle quali aggrapparci.
P.S. Dedico quest’articolo alla memoria di Bertrand Russell, grande amico di Sartre, premio Nobel per la Letteratura nel 1950, pacifista a ventiquattro carati, scomparso mezzo secolo fa all’età di novantasette anni. Tornare a parlare di pace, ad affrontare i temi cari a Russell e a riscoprire la sua figura, i suoi scritti e la sua grandezza morale e politica è un buon modo per dare un senso alla nostra vita quotidiana e a questa catastrofe di cui non si intravede ancora l’epilogo o, quanto meno, la svolta.

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