Coronavirus. “Le mie due quarantene, prima in Cina poi in Italia”

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di Alice Facchini

L’illustratore Gabriele Pino si trovava a Panshi, nel sud-est della Cina, quando è scoppiata l’emergenza Covid-19. “I due contesti, italiano e cinese, sono molto diversi. Gli anziani là erano serafici, sereni, nonostante il pericolo: ecco perché ho scelto di dedicare a loro la mia illustrazione”

Praticamente ho vissuto due quarantene: una in Cina all’inizio di febbraio e una adesso in Italia. Quando ero là mi ha sorpreso la rapidità con cui tutti si sono adattati al blocco totale: nel giro di due giorni si è fermato l’intero paese e si è attivata una rete capillare per supportare le persone nelle proprie case”. Gabriele Pino, 26 anni, illustratore per diversi giornali e case editrici, è uno degli italiani che si trovavano in Cina quando è scoppiata l’emergenza Covid-19. Era lì insieme a un’amica d’infanzia, Elisa Ni, di origine cinese ma cresciuta nel suo stesso paesino in Piemonte: Elisa era tornata in Cina per festeggiare insieme alla famiglia il capodanno, e così anche Gabriele si era aggregato al viaggio. Nel frattempo, voleva realizzare un piccolo reportage illustrato per raccontare la vita nelle campagne del sud est della Cina, dove vive la famiglia di Elisa, ma il coronavirus ha cambiato i suoi piani.

“Abbiamo trascorso praticamente tutto il tempo nel paesino di Panshi, nella provincia dello Zeijang – racconta Gabriele –. Sono arrivato là il 21 gennaio: in Cina si sapeva già del virus, ma il pericolo sembrava lontano. Wuhan dista più di dieci ore di macchina. Dopo qualche giorno, però, ha iniziato a sentirsi la paura: in tutte le province hanno chiuso i negozi di articoli non essenziali e la circolazione è stata fortemente limitata, con la polizia che controllava gli spostamenti. Tutte cose che ora conosciamo bene anche noi, ma che in quel momento mi sembravano incredibili: ero preoccupato e allo stesso tempo eccitato, mi sembrava di vivere in una specie di serie tv post apocalittica”.

Gabriele avrebbe dovuto visitare diverse località e alcune città, tra cui Shanghai, ma il suo viaggio ha dovuto prendere una forma diversa. “Ho accettato il fatto che non ci saremmo potuti muovere e così ho sperimentato la vita di campagna: ho visto filtrare il vino di riso e ho raccolto i cavoli e altre verdure tipiche di quelle terre insieme al nonno di Elisa. Di mattina andavamo a dar da mangiare alle anatre cinesi, che hanno una camminata molto buffa. Un giorno mi hanno portato a visitare la tomba degli antenati, su una montagna lì vicino: abbiamo portato in offerta mandarini e panini dolci. Ai lati c’erano due fornelletti a forma di bocca di drago, dentro cui abbiamo bruciato alcuni vestiti in miniatura, fatti di carta: piccole scarpine, maglie, pantaloni, e anche soldi in miniatura, che servono al defunto nell’aldilà. È stato un momento molto emozionante”.

Il ritorno in Italia era previsto a metà febbraio, ma il 31 gennaio il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato la sospensione dei voli dalla Cina. Gabriele ha subito contattato la Farnesina e l’ambasciata, ma le informazioni erano ancora molto confuse. “A un certo punto mi sono reso conto che l’unica opzione rimasta era quella di comprare un volo il prima possibile, facendo scalo in un altro Paese europeo, e poi muoversi in treno – spiega –. Così ho fatto: sono atterrato a Parigi il 3 febbraio, e da lì ho preso l’alta velocità per arrivare a Torino. È stata un’avventura: durante gli spostamenti c’erano continui blocchi per provarsi la febbre, l’ansia cresceva. Appena arrivato a casa mi sono messo in quarantena volontaria: mi sentivo bene, ma avrei potuto essere asintomatico. Fino al 18 febbraio sono stato chiuso nella mia stanza, senza avere alcun contatto, neanche coi miei genitori”.

Dieci giorni dopo è scoppiata l’emergenza anche in Italia, con il primo caso individuato a Codogno. “Non ci volevo credere, uscivo da una quarantena e ne iniziavo un’altra, prima in Cina e poi in Italia. Eppure i due Paesi hanno reagito in modo diverso: in Cina mi ha stupito la rapidità con la quale le persone si sono adattate, nel giro di due giorni tutti erano già chiusi in casa e uscivano solo con la mascherina. Ma la cosa che mi ha colpito di più era l’atteggiamento delle persone anziane: nonostante il pericolo mostravano una serenità incredibile, continuavano la loro vita serafici. Questo anche perché lì gli anziani sono considerati in modo diverso: sono inseriti all’interno della vita sociale e hanno un ruolo cruciale nelle decisioni della famiglia. Ecco perché, alla fine di questa esperienza, ho scelto di realizzare un’illustrazione che ha come protagonisti proprio due anziani, uno italiano e una cinese: ognuno è raffigurato nel proprio contesto rurale, insieme ai propri animali e ai propri attrezzi, e le due figure si protendono l’uno verso l’altra in segno di solidarietà”.

Da redattoresociale

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