La pasta e ceci de ‘I soliti ignoti’ alla Pergola di Firenze

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Vivere o sopravvivere. Nel dopoguerra la scelta era per molti obbligata, le velleità della vita erano subordinate alle necessità della sopravvivenza. Ma dentro alle peripezie che i disgraziati proletari dovevano affrontare per portare a casa la pagnotta, in modo non sempre onesto, si risveglia l’emozione, la vita e il calore umano. Il capolavoro di Monicelli scalda il cuore con i suoi personaggi sfortunati, criminali ma non crudeli, astuti ma non colti; figli della strada che devono sbarcare il lunario organizzando rapine. La trasposizione teatrale rende le emozioni della pellicola molto più vivide e vicine, aprendo gli occhi dello spettatore alla profondità drammatica della narrazione senza abbandonare il registro leggero proprio del film. Vinicio Marchioni dirige il primo adattamento teatrale, ad opera di Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli, de I soliti Ignoti; un vero e proprio atto di coraggio, visti i mostri sacri contro i quali gli attori si sono trovati a dover fare i conti: Gassman, Mastroianni, Totò, Renato Salvatori… Un atto di coraggio assolutamente vincente: la rappresentazione rimane fedele al testo originale rievocandone lo stesso brio e comicità, per poi sfruttare nei momenti giusti tutta la carica drammatica del teatro, che consente un grado di coinvolgimento che non può essere raggiunto nella celluloide; basti pensare al dialogo fra il fotografo Tiberio e la moglie carcerata: Vinicio Marchioni con un monologo di fronte al pubblico riesce a commuovere trasmettendo la malinconia di un uomo costretto ad aggrapparsi ad ogni espediente per tirare avanti. La scena della pasta e ceci diventa sintesi e conclusione esemplare della storia, i tempi dilatati rispetto alla pellicola propongono un sentimento di intimità e unione fra questi sventurati compagni (etimologicamente cum panis, che mangiano il pane assieme). La delusione per il fallimento del colpo e il mancato salto di classe che pregustavano poco prima, illustrando cosa avrebbero fatto con il malloppo, rappresenta la delusione dei proletari irretiti dalla nascente società consumistica. La pasta e ceci consumata nel silenzio fra una battuta e l’altra è un piatto del popolo, sinonimo dell’unità e della solidarietà che infine emergono fra gli ultimi, nonostante le furberie e malefatte che sono disposti a fare per tirare avanti. Questo sentimento è lo stesso che troviamo nel momento del funerale di Cosimo (Augusto Fornari): sebbene “er Pantera” (Massimo De Santis) lo abbia raggirato e gli abbia sottratto il piano, lui e tutta la banda sono sinceramente dispiaciuti per la morte di uno di loro, finito schiacciato dal proprio senso dell’onore – rifiuta infatti di condividere la refurtiva e, rimasto solo, si dà allo scippo finendo sotto un tram. Tutti i personaggi, dal famelico e derelitto Capannelle (Salvatore Caruso) al siculo Ferribotte (Vito Facciolla) passando per Dante Cruciani (Ivano Schiavi) e per le due figure femminili mantenute in questo adattamento – Carmela, sorella di Ferribotte e Nicoletta, la governante dell’appartamento dove (non) si realizzerà il furto – (entrambe interpretate da Marilena Anniballi), rimangono impressi indelebilmente nella memoria, tratteggiando i caratteri tipici che ognuno di noi può riscontrare nel carattere degli italiani di quei tempi.

Proprio nella vita di strada, nella socializzazione coatta e nel far rete organizzandosi e arrabattandosi per risolvere i problemi troviamo la forza del nostro popolo, qualità che vanno impoverendosi con l’avvento della società della comunicazione via etere: siamo sempre più chiusi nella nostra cerchia sociale, impermeabili alle vite degli altri che ci scorrono attorno lasciando solo delle tracce labili. In giro troviamo sempre meno personaggi memorabili e sempre più facce da rotocalco. In questo periodo buio per tutti, in cui i teatri sono chiusi e l’arte è soffocata dalla malattia, confidiamo in una presa di coscienza sulla mancanza di socialità. Speriamo che questo inverno di solitudine forzata sia il terreno sul quale fiorirà una primavera rigogliosa di rapporti ritrovati, in modo da non rimanere fra di noi i soliti ignoti.

Vinicio Marchioni
Massimo De Santis

I SOLITI IGNOTI

adattamento teatrale Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli

tratto dalla sceneggiatura di Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli

con Augusto Fornari, Salvatore Caruso, Vito Facciolla, Antonio Grosso, Ivano Schiavi, Marilena Anniballi

scene Luigi Ferrigno

costumi Milena Mancini

luci Giuseppe D’Alterio

musiche Pino Marino

regia Vinicio Marchioni

produzione Gli Ipocriti – Melina Balsamo

foto Lanzetta Capasso

durata 2 ore, intervallo compreso


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