Ci lascia Alberto Arbasino, erede dell’Illuminismo lombardo

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Ci ha lasciato, all’età di novant’anni, lo scrittore Alberto Arbasino, uno degli ultimo grandi protagonisti del dibattito culturale novecentesco e contemporaneo. Intellettuale sofisticato, coltissimo e citazionista, letterato dallo stile inconfondibile e incline alle sperimentazioni, sapeva essere spiritoso e irriverente e spaziare con naturalezza dalla letteratura alla pagina di costume o di critica teatrale e musicale.

A lui si devono espressioni entrate ormai nel lessico comune quali «la casalinga di Voghera», stereotipo al femminile dell’italiano piccolo-borghese, di livello culturale e lavorativo umile e tuttavia caratterizzato da un’aura di rispettabilità, nonché da una sorta di ethos e di saggezza di matrice pratica e tradizionale; e «gita a Chiasso», espressione derivante da un suo celebre articolo del 1963 in cui accusava l’editoria italiana di non essersi mai del tutto ripresa dal ventennio fascista e invitava gli intellettuali del Belpaese a fare una gita nella cittadina svizzera di Chiasso per uscire dall’ottica di provincialismo che li soffocava. Dopo oltre cinquant’anni da quella dichiarazione Arbasino constatava come l’intellettuale nostrano non stesse affatto meglio, avendo anzi del tutto perso il proprio ruolo, e denunciava il fatto che ormai i libri fossero venduti al supermercato: «la letteratura si è omogeneizzata – dichiarava – è diventata un genere di consumo. Gli editori puntano solo su bestseller tutti uguali tra loro».

Proprio per l’efficacia e il valore civile dei suoi interventi pubblici Arbasino è stato visto come l’erede della tradizione illuministica lombarda, quella facente capo a Giuseppe Parini.

Nato il 22 gennaio 1930 a Voghera, in provincia di Pavia, Arbasino si iscrisse dapprima alla Facoltà di Medicina dell’Università di Pavia, nel 1948, per poi passare nel ’50 a quella di Giurisprudenza, presso la Statale di Milano, attratto dalla carriera diplomatica. Laureatosi nel 1955 divenne assistente del suo relatore, il professor Roberto Ago. Intanto aveva compiuto soggiorni di studio anche alla Sorbona di Parigi e all’Accademia di diritto internazionale dell’Aia.

Aveva nel frattempo iniziato a scrivere per alcune prestigiose riviste quali «L’Illustrazione Italiana», «Officina» e «Paragone». Le sue iniziali prove narrative riguardavano reportage dall’estero (nel 1959 si era recato per la prima volta negli Stati Uniti, per seguire i corsi tenuti ad Harvard da Henry Kissinger, sviluppando fin da subito un forte interesse per la società e la cultura statunitensi, a cui, negli anni a venire, avrebbe dedicato il volume America, amore, ritratti di scrittori famosi (poi raccolti nel volume Parigi o cara), interviste, ma anche racconti che contenevano già in nuce alcune tematiche ricorrenti nell’opera di Arbasino quali la provincia italiana del dopoguerra, dipinta nel suo mondo chiuso e limitato, e la critica della salottiera società delle ville, dedita al pettegolezzo e alle frivolezze.

Nel 1957 raccolse questi racconti nel volume Le piccole vacanze, pubblicato da Einaudi, i cui testi confluirono poi, assieme ad altri, nel successivo L’anonimo Lombardo, uscito da Feltrinelli nel 1959.

Da questi primi scritti si nota l’estrosità del suo stile, innovativo e cerebrale. In uno di questi racconti, Giorgio contro Luciano, viene affrontato il tema dell’amore gay. D’altra parte Arbasino non fece mai mistero della propria omosessualità, sebbene non avesse mai vissuto tale condizione dal punto di vista dell’impegno militante: al contrario si mostrò critico nei confronti di manifestazioni come il Gay Pride, bollando tali cortei come «l’orgoglio del sedere».

Nel 1961 uscì su «Mondo» il racconto La bella di Lodi da cui Arbasino ricavò la sceneggiatura dell’omonimo film del ’63 diretto da Mario Missiroli e interpretato da Stefania Sandrelli. La stessa storia venne poi riproposta nel ’72 in forma di romanzo.

Caratteristica peculiare di Arbasino è infatti quella di tornare sulle proprie opere, in un inesausto lavoro di rielaborazione, in ragione del quale quasi tutte sono state ripubblicate in edizioni aggiornate. Emblematico è il caso di Fratelli d’Italia, romanzo complesso e dissacrante, racconto delle vicissitudini picaresche di due giovani omosessuali in viaggio per l’Italia e l’Europa. La vicenda serve essenzialmente da pretesto per raccontare l’ambiente culturale italiano degli anni Sessanta. L’opera, uscita nel 1963 e considerata la summa delle tematiche e dello stile dello scrittore di Voghera, fu ritoccata più volte sino all’edizione Adelphi del 1991, ampliatasi fino a raggiungere le 1.400 pagine. Il romanzo segnò anche la definitiva consacrazione di Arbasino nell’ambito dell’Avanguardia letteraria del tempo: divenne infatti uno degli esponenti di punta del Gruppo 63.

Da molti ritenuto l’erede di Gadda, Arbasino si è sempre considerato discepolo dell’autore del Pasticciaccio. Molti suoi racconti rappresentano un palese omaggio al maestro e si trovano raccolti nel volume L’ingegnere in blu.

Dopo le pagine argute dedicate all’Italia del boom economico, Arbasino seppe raccontare con sagacia anche gli anni della contestazione giovanile nel romanzo Super-Eliogabalo (Feltrinelli, 1969), chiaramente ispirato all’Eliogabalo di Artaud.

In questa come in altre opere Arbasino tende a stigmatizzare alcune costanti antropologiche del vivere italiano: la fatuità, il provincialismo, il facile sentimentalismo, la tendenza al ribasso del mondo culturale (editoria, stampa, televisione). Questo non gli impedì di collaborare assiduamente con vari quotidiani, fra cui «la Repubblica» e il «Corriere della Sera»; approdando anche in tv con il programma Match condotto su RaiDue nel 1972.

Arbasino venne anche eletto come deputato al Parlamento Italiano, tra le fila del Partito Repubblicano, negli anni compresi fra il 1983 e il 1987.

Nel 2013 ricevette il Premio Campiello alla carriera.

Al 1980 risale la prima edizione del suo saggio Un Paese senza che raccoglie riflessioni e aforismi sull’epoca paradossale, per metà farsesca e per metà drammatica, attraversata dal nostro Paese, inondato dal vociare perdurante di inutili chiacchiere, mentre la classe dirigente si rivela inetta a far fronte efficacemente ai problemi concreti. Un libro di quarant’anni fa che sembra sia stato scritto oggi. E già questo basta a esprimere la genialità di Arbasino e la portata del vuoto che lascia.


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