Mario Luzi, la poesia ovunque

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Mario Luzi, quindici anni dopo. Ne aveva novanta il grande poeta fiorentino quando ci disse addio, pochi mesi dopo che il presidente Ciampi lo aveva nominato senatore a vita e dopo aver, purtroppo, fallito l’appuntamento con il Nobel, che pure avrebbe meritato.
È superfluo sottolineare cosa abbia rappresentato per la cultura italiana, con i suoi versi intimi, con la sua profondità di pensiero, con la sua analisi su tutte le sfaccettature dell’animo umano, con la sua costante ricerca e con la sua visione sempre in attesa che qualcosa accada, senza tuttavia mai scadere in superstizioni di sorta o in aspettative messianiche che poco si addicevano alla razionalità del personaggio.

Mario Luzi era un visionario coi piedi per terra, un poeta narratore, il cantore di un secolo difficile che ha avuto il merito di attraversare senza mai perdere l’equilibrio, senza mai smarrire la propria naturale calma ed eleganza, senza mai arrendersi alle mode del momento, senza sentirsi mai arrivato, indomito, anticonformista, potente nell’espressione senza mai scadere nella volgarità, dotato di una cultura e di una competenza con pochi eguali ma, soprattutto, poliedrico nella sua arte, capace di attraversare i decenni senza mai scadere nella noia.

Intendiamo rendergli omaggio con un suo componimento che sembra scritto oggi, universale come l’opera di tutti gli autori destinati all’eternità: “C’era, sì, c’era – ma come ritrovarlo / quello spirito nella lingua / quel fuoco nella materia. / Chi elimina la melma, chi cancella la contumelia? / Sepolto nelle rocce, / rocce dentro montagne / di buio e grevità – / così quasi si estingue, / così cova l’incendio / l’immemorabile evangelio…”.
Ci manca molto, soprattutto considerando che non ha lasciato eredi.

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