Il coronavirus e Li Wenliang: “l’eroe” cinese inascoltato

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Il “coronavirus” ha già un suo “eroe” come è stato definito da tutti i media del mondo e dalla stessa Cina: a Wuhan dove lavorava come medico oftalmologo, in un’ospedale della metropoli cinese, è deceduto a causa della polmonite il dottor Li Wenliang, la cui sorte è stata segnata dall’aver segnalato nei primi giorni di dicembre del 2019 la comparsa del virus (quando nessuno ne sospettava la diffusione) per poi restarne vittima. La sua morte è anche la conseguenza dell’aver ignorato la sua richiesta di intervenire immediatamente e cercare di intervenire da subito per prevenirne la diffusione. Un destino cinico riservato ad un giovane medico di soli 34 anni per giunta specializzato in patologie oculistiche e non era un pneumologo, inascoltato dalla direzione sanitaria del suo ospedale, e di conseguenza interrogato dalla polizia per aver commesso il reato di “diffondere false interpretazioni di carattere sanitario”. Non era il solo ad aver capito che il virus classificato con la sigla “2019-nC.oV”: altri sette medici si erano subito attivati per far capire che c’erano dei casi di polmonite la cui insorgenza destava dei sospetti. Redarguito con severità Li Wenliang un mese dopo era stato ricoverato per averla contratta e pochi giorni fa è deceduto. Ora è stato riabilitato (post mortem) ma questo non può cancellare la responsabilità di chi ha cercato di censurare e impedire un intervento sanitario preventivo nel mese di dicembre del 2019. La sua fotografia nel letto ospedaliero con la maschera d’ossigeno è l’emblema di una epidemia che non è stata compresa da subito e ora colpisce in Cina migliaia di persone. Gli effetti del “coronavirus” non si limitano alle condizioni di salute globale però: tra notizie non confermate e psicosi miste a gesti di intolleranza e razzismo nei confronti di cittadini d’origine cinese, l’effetto mediatico scatena una sorta di paura e terrore incontrollato. A fare chiarezza interviene su facebook Francesco Bonella, un medico pneumologo italiano che lavora nella clinica specializzata universitaria di Duisburg Essen “RuhrlandKlinik”: «l’influenza stagionale uccide 3 persone su mille. L’Organizzazione mondiale della sanità nell’analizzare i casi di 213 decessi (un dato risalente ai primi giorni della comparsa del virus, ndr) nella città di Wuhan (da dove è partito il virus, ndr) vivono 11, 08 milioni di abitanti, pari allo 0.00001936363 per cento. Su 1,4 miliardi di abitanti in Cina sono seimila gli infettati (va ricordato che sono cifre pregresse ndr) pari allo 0,0005 per cento della sua popolazione. Da fonte OMS del 2019 ogni anno muoiono 500mila persone di influenza, 1400 decessi al giorno». Un dato significativo che dovrebbe riflettere tutti: i coranavirus provocano infezioni respiratorie nell’uomo e negli animali dal comune raffreddore fino alle polmoniti e attualmente sono sette i ceppi conosciuti in grado di colpire gli esseri umani. I numeri aggiornati al 9 febbraio fanno salire a 803 le persone decedute in Cina.  Per i media la notizia fa scalpore ma se poi si va ad analizzare l’autorevole fonte Istat scopriamo che solo in Italia nel 2017 i morti per polmonite sono stati 13.471 (Istat:”Mortalità per territorio di residenza: causa ed età”). Una cifra che messa a confronto con quelle dei decessi in Cina spiega come in Italia tre anni fa i decessi siano stati 3 volte superiori al numero di morti in tutto il mondo.

Anche Giuseppe Ippolito direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani di Roma (dove alcuni pazienti sono attualmente ricoverati) ha diffuso nei giorni scorsi un comunicato a tutti i media nel quale invita «ad evitare inutili psicosi». Un appello a cui tutti gli operatori dell’informazione dovrebbero attenersi e di conseguenza collaborare ad una corretta prevenzione  e isolare (come è stato isolato il virus in molti laboratori clinici) degenerazioni di stampo discriminatorio nei confronti di uomini e donne cinesi: il virus anzi i virus non hanno la carta d’identità o un passaporto.


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