Addio a Domenico D’Amati: hai onorato la nostra toga

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L’insigne giurista Piero Calamandrei lo ha detto con parole meravigliose: «l’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Non credete agli avvocati quando, nei momenti di sconforto, vi dicono che al mondo non c’è giustizia. In fondo al loro cuore essi sono convinti che è vero il contrario, che deve per forza esser vero il contrario: perché sanno dalla loro quotidiana esperienza delle miserie umane, che tutti gli afflitti sperano nella giustizia, che tutti ne sono assetati: e che tutti vedono nella toga il vigile simbolo di questa speranza.

Per questo amiamo la nostra toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero, al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso, e, soprattutto, a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia». Domenico D’Amati ha onorato, nel corso della sua vita e della sua luminosa carriera, la toga dell’avvocato, facendosi strenuo difensore delle istanze di giustizia che promanavano dai suoi assistiti che erano, il più delle volte, giornalisti sfruttati nelle loro redazioni; lavoratori vessati o intimiditi da piccoli e grandi potentati. Non ha avuto mai paura, il collega D’Amati, dei poteri forti che ha sfidato e battuto nelle aule giudiziarie, con la forza delle sue ragioni, la caparbietà del suo impegno, la solidità della sua competenza giuridica. Oggi che il suo ultimo giorno è arrivato, rimane la lacerante amarezza per averlo lasciato andar via mentre ancora tremendamente lontano è l’approdo di verità che lui, Domenico D’Amati, ha instancabilmente rincorso nell’ultimo quarto di secolo. Tanti anni sono passati da quando questo fiero avvocato ha iniziato, al fianco di Giorgio e Luciana Alpi, la sua battaglia personale e professionale, affinché il fascicolo di indagine sull’omicidio premeditato di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non fosse annichilito dai depistaggi che hanno già portato alla condanna di un innocente; affinché non finisse insabbiato nella polvere dei depositi giudiziari. Se nonostante tutto, dopo tre richieste di archiviazione, l’inchiesta sull’agguato di Mogadiscio del 20 marzo 1994 rimane ancora in piedi, è soprattutto merito suo.

Di Domenico D’Amati. Del suo coraggio e della sua tenacia. Del suo esempio che oggi illumina la strada di altri avvocati che, come lui, sentono il dovere di farsi custodi e garanti dell’articolo 21 della Costituzione. La tradizione del suo glorioso studio legale continuerà a perpetuarsi attraverso il figlio, Giovanni D’Amati, che ne ha ereditato lo stile, la dedizione e la generosa disponibilità. E ciò vale a donarci un barlume di conforto, nel mesto giorno in cui l’intera comunità dei giornalisti e degli avvocati perde un punto di riferimento storico e prezioso. Nel suo nome e nel suo ricordo, non smetteremo mai di cercare, nonostante tutto, verità e giustizia sulla morte di Ilaria e Miran.


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