Strage Lampedusa. Solidarietà e condanne non bastano

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Non voglio qui ragionare e scrivere solo per esprimere solidarietà alle donne e bambini morti in mare a Lampedusa, gli ultimi di una lunga serie, condannare gli assassini e le stragi, sempre più frequenti, di stampo fascista e nazista in Italia, in Europa , e in questi giorni  nella Germania dell’est, perché la solidarietà e le condanne che si esprimono episodicamente assomigliano  ad una elemosina, ad una reazione emotiva, e non affrontano i problemi nella loro complessità ed universalità, sono un problema di una cultura che viene meno, quasi scompare dal nostro sentire.

Proprio perché è un problema culturale, proprio perché solidarietà e antirazzismo stanno venendo sempre meno come valori del sentimento comune da difendere, bisogna affrontare i temi tutti i giorni, ogni ora, per discuterne con tutti i cittadini; i cittadini  hanno diritti e doveri e sono più aperti al confronto e si sentono parte di una comunità ampia, mentre il  “popolo” è esaltato, separato e strumentalizzato dalla propaganda e dalla bassa politica di questi giorni, è un popolo abbandonato nell’ignoranza.

Per passare dalle idee ai principi universali e vincolanti della solidarietà si può partire da ciò che ci ha ricordato Rodotà citando Montesquieu che nel 1748 diceva: “Qualche elemosina fatta a un uomo nudo per le strade non basta ad adempiere agli obblighi dello Stato, il quale deve a tutti i cittadini la sussistenza assicurata, il nutrimento, un abbigliamento decente, e un genere di vita che non sia dannoso alla salute”. Pensiamoci bene questa affermazione non è una affermazione di Marx o di Lenin ma quella di un pensatore dei primi anni del ‘700. Le cose non sono mica tanto cambiate in quasi trecento anni e siamo ancora fermi al fatto di confondere la solidarietà con l’elemosina. D’altronde questa contraddizione la troviamo nell’Unione Europea quando ha ritenuto che in nome delle politiche di austerità ha escluso, dal suo dovuto riferimento costituzionale, la Carta dei diritti.

L’Unione Europea nel suo agire viola l’articolo 6 del trattato di Lisbona dove viene indicato che la Carta “ha lo stesso valore giuridico dei trattati” operando una indebita riduzione della cittadinanza europea. L’Unione sottovaluta una delle cause dell’attuale crisi europea quando non comprende che il principio di solidarietà riduce, se non annulla, l’odio tra paesi creditori e paesi debitori.

D’altronde dalla “solidarietà”, dalla “l’universalità della cittadinanza” dipende la possibilità di costruire un’Europa dei cittadini e non solo dei mercati. Con il predominio della solidarietà e dei diritti il cittadino sarebbe inserito in un flusso di relazioni positive.

Si tratta di capire che dare valore alla solidarietà (quello di un diritto universale che tutela l’umanità a prescindere dalle sue differenze di razza, religione, pensiero) farebbe superare alla Corte di Giustizia dell’Unione un agire sostanzialmente ispirato dalla logica individualistica e tributaria dell’economia.

Solo così è possibile rispettare l’idea di solidarietà affermata nel titolo IV della Carta dei diritti fondamentali – con una forte innovazione rispetto alla tradizionale struttura dei trattati – che conduce all’interno di essa i temi della salute, dell’ambiente, dell’accesso ai servizi economici d’interesse generale, della tutela del consumatore e li sottrae da una logica economicistica.

Bisogna quindi battersi contro i “diritti riflessi” e chiedere con determinazione che prevalgano, e non perdano il loro valore, i “doveri e diritti individuali e primari”. Con la teorizzazione dei “diritti riflessi” il cittadino perde un potere di cui si appropria lo Stato. Questa è una delle patologie, delle turbative del diritto che diventano turbative e patologie della persona umana. Se c’è una distinzione tra dittatura e democrazia, questa e la “Persona”. Nella dittatura la persona è privata dei diritti, diventa quasi un oggetto, una cosa. Nella democrazia la persona, con i suoi diritti, è esaltata nella sua dignità.


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