Infeltrito. Dire quello che piace a chi comanda

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Dopo l’odio negazionista verso Greta (ma anche verso tutte le donne in genere), l’ultima di Vittorio è quella contro gli uomini di colore: “Se sono di quel colore, sono negri!” Argomenti che non usano più neanche i nazisti. Proviamo una spiegazione storica dell’ennesima prova di attaccamento al dovere di un servitore dello stato… di fatto, oggi rappresentato dal sovranismo/populismo, il potere ottuso/diffuso che fa disperare l’intera umanità.

Nella lingua italiana la differenza tra “nero” e l’ormai dispregiativo “negro” è data dalla presenza della “g”, retaggio della lingua latina. Carducci nella sua struggente “Pianto antico” chiamava il luogo di sepoltura del piccolo figlio “terra negra”. Noi, coevi di Feltri, ricordiamo, a San Remo ‘68, Fausto Leali (definito il negro bianco) che interpretava la canzone “Angeli negri”, dove il protagonista era “un povero negro” , canzone che aveva invece l’intenzione di fare un ‘suo discorso’  per l’integrazione razziale. Negli anni ’80 abbiamo importato dagli USA (anche) la necessità di far diventare “nero” il termine “negro”. In inglese la differenza tra i due termini è abissale perché, se l’insulto si pronunzia “niigro” (ricordate il film “Una poltrona per due”?), il colore è pronunziato “blec”, tanto che negli anni ‘60 i coloured crearono il “Black Power”.

Come tutti i conservatori, i giornalisti di destra vogliono riportare indietro il tempo, ad epoche a loro più consone. Però c’è da dire che anche il fascismo (ideologia poi divenuta razzista) con la popolazione di colore era più benevola, perché nell’annunziare che dava (non gratis) “un altro duce ed un altro re” si rivolgeva ad una “faccetta nera”, e non negra. Certi giornalisti, dal cervello “infeltrito”, ci fanno rimpiangere Telesio Interlandi.


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