La stagnazione frutto di governi non credibili 

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La crescita economica è diventata quasi una scommessa impossibile per l’Italia. La povertà diffusa pesa. Le crisi economiche internazionali hanno colpito molti paesi, ma solo il nostro fatica a risollevarsi. Diminuisce nel Belpaese il reddito reale e aumentano precarietà del lavoro e debito pubblico. I sovranisti imputano tutti i guai all’euro ma non è esattamente così. Cerchiamo di capire il problema con alcuni articoli di approfondimento.

Il benessere rende euforici, la stagnazione deprime. Sembra un sogno. Eppure l’Italia fu la locomotiva d’Europa. Dopo le distruzioni della Seconda guerra mondiale cresceva a ritmi cinesi: dal 1958 al 1963 il Pil (Prodotto interno lordo) aumentava a ritmi di oltre il 6% l’anno. Allora c’era l’Italia effervescente della crescita e dell’ottimismo, oggi c’è quella della stagnazione (a volte della decrescita certamente “non felice”), del pessimismo, del rancore. Era l’Italia del solidarismo cattolico di De Gasperi, Fanfani e Moro, quella del boom. L’Italia dei governi  prima centristi e poi di centro-sinistra con il riformismo del Psi di Nenni.

L’ultimo sprazzo di crescita e di fiducia l’Italia l’ha conosciuto negli anni Ottanta, dopo il fallimento del compromesso storico Dc-Pci. Allora il Pil reale saliva al ritmo del 2%-3% l’anno con una punta del 4,1% nel1988. Era l’Italia dei governi del centro-sinistra allargati ai liberali, battezzati anche pentapartito. Il socialista Craxi aveva sostituito la Dc alla presidenza del Consiglio, bastione considerato fino ad allora appannaggio dello scudocrociato.

I guai cominciano negli anni Novanta, con lo scoppio di Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica. Nel 1992 il Pil crollò a più 0,82% e poi nel 1993  a meno 0,88%. Si ridusse il potere d’acquisto di salari e pensioni, crebbe la paura. L’umore degli italiani divenne nero e scoppiò la collera contro la politica. 

La Seconda Repubblica tenta di reagire. Centro-sinistra di nuovo conio (Prodi-D’Alema) contro il centro-destra (Berlusconi-Bossi) lancia l’era del bipolarismo. Le promesse di rinnovamento volano ma la crescita delude: negli anni Novanta staziona tra l’1% e il 2% e solo una volta, nel 1995, arriva al 2,9%. Va ancora peggio nel 2000. Prima l’Italia vivacchia con più 1%, poi il Pil  sprofonda nel 2009 a meno 6,6% per la Grande recessione internazionale del 2008. Gli altri paesi occidentali, compresi quegli europei più in crisi, risalgono rapidamente la china. Noi no.

Berlusconi, per i dissestati conti pubblici, nel 2011  perde Palazzo Chigi sostituito dal tecnico Monti. Per l’Italia la mazzata è pesantissima. Subisce un nuovo tonfo:  nel 2012 meno 2,8% il reddito nazionale. Non va meglio negli anni successivi.

Le conseguenze sono pesantissime, l’Italia patisce la più grave crisi economica dalla Seconda guerra mondiale. Perde complessivamente circa il 25% della produzione industriale e il 15% del reddito rispetto al 2007. La protesta sociale scoppia contro la disoccupazione, l’impoverimento del ceto medio, i tagli allo Stato sociale, la corruzione pubblica.

 C’è  un netto ricambio di uomini e partiti al potere. E’ la Terza Repubblica. Il centro-sinistra a guida Pd perde l’egemonia, Renzi è disarcionato dalla segreteria e da Palazzo Chigi.  Nel 2018 trionfano le forze anti-sistema: il populismo del Movimento 5 stelle di Di Maio e quello della Lega di Salvini basato sulla battaglia contro le élite, l’Europa, l’euro, la globalizzazione. Le promesse miracolistiche si sprecano: rimpatrio degli immigrati irregolari, reddito di cittadinanza, pensionamento anticipato, taglio delle tasse per tutti (anche sulla benzina), potenziamento del Welfare, aumento dell’occupazione e della crescita economica. 

Ma solo una minima parte di questi impegni è realizzata dal governo M5S-Lega. Cala invece la produzione industriale,  il Pil (se va bene salirà dello 0,2% nel 2019), la fiducia. Aumenta il deficit e il debito pubblico, la fuga all’estero dei ragazzi in cerca di futuro, la delocalizzazione delle imprese fuori dai confini. Di Maio nelle elezioni europee del 26 maggio crolla e Salvini straripa: il primo dimezza i voti, il secondo li raddoppia. I due alleati si scambiano roventi accuse e l’esecutivo traballa pericolosamente.

Da trent’anni, dalla fine della Prima Repubblica, l’Italia va a passo di lumaca, senza una strategia di sviluppo, senza una visione politica del futuro. Nuovi uomini politici e partiti, messi alla prova, si sono bruciati tra leaderismi e populismi dal fiato corto. Si sono delegittimati. Ora corrono lo stesso rischio sia Di Maio in caduta, sia Salvini trionfante, sia il Pd di Zingaretti irrilevante all’opposizione come il centro-destra di Berlusconi e Meloni.

Da anni la marcia indietro dell’Italia è continua: sull’uguaglianza, sui diritti, sulle condizioni di vita, sullo sviluppo. La stagnazione economica, sociale e culturale si combatte solo se un governo è credibile e stabile. Una volta Helmut Kohl, allora cancelliere tedesco, domandò a Romano Prodi: «Chi viene la prossima volta?».


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