Meglio prostitute che affamate. Report dall’Africa subsahariana

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È la fame a decidere. L’angoscia di non aver nulla da portare a casa. E se resta solo il corpo, il proprio corpo, allora è quello che bisogna usare. La prostituzione in Africa è spesso questo: un bisogno estremo legato all’istinto di sopravvivenza.

Un brothel, un mercato, l’ufficio del capocantiere di una miniera, persino il fondo in ombra di una chiesa. Non importa dove, poiché sono le circostanze a decidere. Le analisi sulla prostituzione nel mondo parlano di oltre 42 milioni di prostitute ma è un numero approssimativo e risulta assai difficile avere cifre sui Paesi africani. I motivi sono diversi, uno di questi è che la maggior parte delle ragazze e donne che praticano la prostituzione non la considerano (e nei fatti non lo è) la loro principale attività. Si tratta invece dell’unica chance. Perché, come spiega Emma: “L’HIV ti ucciderà in vent’anni, la fame in due giorni”.

Emma è una delle centinaia di donne intervistate da un gruppo di giornaliste d’inchiesta africane che hanno pubblicato il dossier “The last resource. Risking death to feed your kids” [L’ultima risorsa. Rischiare la morte per sfamare i propri figli] a cura dell’African Investigative Publishing Collective. Un lavoro che apre uno scenario disperato ed eloquente sulla vita di migliaia di donne che si vendono una volta arrivate al gradino più basso.

Odiano quello che fanno, dicono, ma cercano di conservare la propria dignità continuando a dedicarsi ai loro mestieri: sarte, venditrici al dettaglio, contadine, ma anche insegnanti e studentesse. Anche per difendersi da violenze e soprusi. Violenze che spesso arrivano da quegli stessi parenti che poi non si fanno scrupolo di usare quel denaro malamente guadagnato o dalle forze dell’ordine che ne abusano e le ricattano approfittando della loro condizione di fragilità. Molte hanno raccontato di doversi piegare alle richieste della polizia per non essere picchiate o arrestate.

Le donne incontrate vivono in comunità dove il guadagno medio giornaliero è di poco meno di due dollari al giorno, la soglia minima di povertà. Donne che fanno ricorso alla prostituzione saltuaria come mezzo per supplire all’assenza dei padri dei loro figli, che rimangono sole e senza sostegno (l’eredità passa in linea maschile) o che vogliono continuare gli studi nella speranza che un’educazione dia loro un futuro migliore.

Emma fa la parrucchiera e si vende quando non riesce a guadagnare nulla durante il giorno. Vive in Uganda, Paese tra i primi cinque del continente per l’empowerment delle donne e dove sono donne il 34% dei parlamentari. Ma qui, come altrove nell’Africa sub-sahariana, il gap tra la classe medio-alta e quella delle popolazioni rurali o che vivono ai margini delle città è sempre più ampio.

Il suo presidente, Museveni, in carica dal 1986, è noto per le campagne sull’astinenza per combattere l’AIDS, quelle contro i gay e le gonne corte. Politiche che non sono servite ad Abbo, una famiglia da mantenere e barista in un night club. “Una notte un uomo mi ha offerto 500.000 scellini (circa 140 euro). Ero contenta di guadagnare tanti soldi. Mi ha chiesto di non usare il condom e l’ho lasciato fare. Alla fine mi ha detto di mettere da parte quei soldi per la bara. Aveva l’HIV”. Vuoi il preservativo? Allora l’offerta è di un dollaro per trenta minuti di prestazione. È questa la legge… continua su vociglobali


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