‘Generazione senza padri’,  la difficoltà di essere un buon giornalista in Medio Oriente

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C’è anche un’intervista che molte testate non hanno voluto pubblicare, nel racconto dei suoi cinque anni di vita quotidiana in Medio Oriente, di cui Gaja Pellegrini-Bettoli scrive nel libro “Generazione senza padri”, appena uscito con Castelvecchi. E’ quella a due sorelle yazide, ospiti di un campo nel nord dell’Iraq, che come tutte le migliaia di donne della stessa etnia rapite dai tagliagole dell’Isis avevano certamente subito stupri, violenze e umiliazioni di ogni tipo. “Non volevo far loro domande sulle violenze subite –  racconta l’autrice – lo trovavo inutile e non etico”, visto che avevano già dovuto raccontarle a chissà quanti altri giornalisti. E così chiese loro altre cose: come era la loro vita in quello squallido campo e come vedevano il loro futuro. “Cercai di proporre il pezzo a varie testate sia in Italia sia all’estero”, scegliendo di evidenziare il vuoto legislativo nella comunità internazionale in merito ai crimini commessi contro la comunità yazida o la mancanza di prospettive per le vittime nei campi per rifugiati. Ma “nessuna testata dimostrò interesse”, tranne alla fine una in lingua inglese, il pezzo evidentemente non era abbastanza “voyeuristico”. Secondo Human Rights Watch, del resto, l’85% delle yazide sarebbero state intervistate senza rispetto di un’etica giornalistica.

Gaja Pellegrini-Bettoli ha vissuto in Medio Oriente dal 2013 al 2018, facendo base a Beirut ma coprendo anche eventi come l’offensiva contro l’Isis a Mosul e vivendo un intero anno a Gaza, come addetta all’ufficio stampa dell’Unwra, con la determinazione (in parte delusa) di conoscere da vicino la realtà umana e sociale della Striscia. Il libro parte dal suo primo reportage sulle tracce di Rossella Urru, la cooperante rapita nel 2012 in Algeria, e prosegue con il racconto in prima persona di quel processo lento, ma necessario, di graduale e conoscenza e comprensione della realtà mediorientale: un mondo che spesso i giornalisti occidentali incontrano solo con fugaci trasferte sui fatti più eclatanti. E così – come racconta l’autrice – anche una sfortunata intervista ad un politico libanese di spicco può aiutare a prendere coscienza di quanto l’essersi preparati e documentati prima non basti a compensare la mancanza di un’esperienza personale del contesto. Ed è proprio la ricerca di questa conoscenza diretta che muove l’autrice in quei cinque anni, spingendola anche a mettere a segno significativi risultati come i servizi (anche video) su due sorelle libanesi che da anni lavorano come assistenti sociali con specializzazione forense nel carcere di Roumieh a Beirut, nel braccio che raccoglie centinaia di jihadisti: l’obiettivo delle due donne è guadagnarsi la fiducia dei detenuti e individuare per ciascuno la possibilità, con empatia e competenza professionale, di avviare programmi mirati di de-radicalizzazione. Anche a questa realtà si riconduce il titolo del libro: una generazione senza padri è infatti quella che sta crescendo con la guerra in Medio Oriente. Una generazione esposta al reclutamento jihadista, ma  anche destinata, per aver perso l’infanzia, la casa e insostituibili anni di scuola, a condizionare la società del futuro non solo in quei Paesi ma anche in Europa. E la dolorosa eredità della tragedia siriana – con i suoi milioni di profughi interni e all’estero, particolarmente “scomodi” proprio in Libano per la storia di quel fragile Paese – non si dissolverà con la bacchetta magica quando arriverà, forse, la vera pace.

Gaja Pellegrini-Bettoli ci ricorda anche questo, in un racconto che mette insieme cronaca e storia, aneddoti di vita quotidiana ma anche riflessioni sui pregi e difetti del giornalismo in Medio Oriente. Andare sul posto e fare un ottimo lavoro – come ben sanno tanti giovani free-lance – , non ti garantisce la pubblicazione se non hai i giusti contatti editoriali. Al tempo stesso, se il nostro sguardo sull’Oriente è offuscato dai pregiudizi occidentali, anche da lì ti guardano con sospetto o con ironia. Pare che fra le battute più diffuse vi siano quelle sui colleghi occidentali che danno molto peso alle loro conversazioni con i tassisti locali. “Esiste un web alternativo – scrive in un tweet l’architetto e scrittore iracheno-libanese Karl Sharro – dove gli autisti di taxi arabi scrivono dei loro buffi aneddoti con inviati occidentali e la loro visione semplicistica del mondo”.

Gaja Pellegrini Bettoli

Generazione senza padri. Crescere in guerra in Medio Oriente

Castelvecchi,  pp. 155, euro 17,50

 

 


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