Sorvegliati e puniti. Primo appuntamento del progetto Il Caso K: “Il processo’ di Franz Kafka, Sala Di Martino Catania

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Acuta trasposizione teatrale di uno dei capolavori della letteratura contemporanea, “Il processo” di Franz Kafka, scritto nel 1925 e rimasto incompiuto, adattato e diretto da Elio Gimbo, ci offre una densa riflessione sulla personalità letteraria di Franz Kafka. Nell’opera allegorica dai risvolti inquietanti emergono i punti salienti del genio praghese: il gusto per il magico, il mistero, il senso di colpa, il bizzarro, tenuti insieme dal pugno di ferro di un’angoscia senza nome, di assoluto impatto esistenziale. La colpa e la possibile redenzione qui indossano toghe e divise carcerarie. La Giustizia, mostro sanguinario insaziabile, fuori da ogni logica possibile, indomabile, inesorabile, si insinua nella coscienza dell’uomo sprofondandolo in un Calvario senza redenzione.

Nel rettangolo della sala, divenuta interamente scena, si innesta un corridoio transennato, (il corridoio della colpa, della memoria che non salva e non consola) sul quale scorrono le vittime di una misteriosa reclusione, dai contorni affilati, senza smussature, dove la violenza striscia sul tavolaccio inventandosi gesti umilianti. In questo tunnel-gabbia è facile entrare, non altrettanto uscire. Il signor Joseph K che dichiara di essere un attore, in un pigiama a righe evocativo della prigionia dei campi di concentramento, come del resto tutta l’umanità che transita nel corridoio in un andirivieni ininterrotto, vi sarà introiettato in un battito di ciglia, e fino alla fine tenterà disperati quanto inutili tentativi di sapere perché è stato arrestato, che cosa e quanto resterà segregato, di che cosa è colpevole. La legge, cieca, sorda e muta si abbatte sul Signor K, si sfaccetta nella grottesca molteplicità di sorveglianti, avvocati, giudici, virago in camice o in guepière e manganello, infilzati in parossismi drammaturgici conditi da suggestive nenie e cantate di sapore brecthiano di Cinzia Caminiti, fino a raggiungere una tensione costante, attraversata da una moltitudine di situazioni estreme, dove un velo di perversione occulta copre ogni cosa. Il signor K rinuncerà persino alla difesa, lottando tuttavia fino alla fine con l’assurda macchina che lo sta stritolando.

Affascinante e angosciante, il percorso-gabbia proposto da Elio Gimbo nel suo vigoroso e articolato adattamento, risuona di passi, colpi, grida, fremiti di tragicità sconfinata dove la condizione umana si svela nella lunga carrellata delle vittime di varia estrazione, spogliando il carnefice di ogni possibile agghindamento. Il collasso dell’innocenza si misura sulla disperata segregazione che non conosce riscatto, sul dolore che si ripiega su se stesso. Una visione cosmica di una tragedia annunciata che in Kafka indossa i toni della lucida descrizione, sottolineati dalla regia, svuotando la cornucopia delle divinità disarcionate, mostrando un cielo muto e vuoto sotto il quale un’umanità abusata dal Principio di autorità si inerpica sulle vie del conflitto.

Confligge l’artista con un mondo che vorrebbe omologarlo, confligge la spiritualità con la religione rivelata, confligge l’anelito di pace con gli eserciti, la forza creativa con la fabbrica. Occlusi e collusi ci dibattiamo in questa oscurità senza speranza. Deviare è impossibile. Il dispotismo del Potere si misura nella punta estrema dei campi di sterminio, ma anche nella rigidità della struttura familiare, passando dal centro focale di un ineludibile senso di colpa che l’uomo si porta dentro. E’ la prigione da cui evadere è impossibile. La condanna senza appello a cui ogni uomo è chiamato. Una trappola dalla quale è impossibile uscire. Temi squisitamente kafkiani che spostano inevitabilmente il baricentro di un’umanità irrisolta.

Con il ritmo incessante e incalzante di una regia che non lascia tregua, l’intensa e convincente interpretazione del protagonista Antonio Caruso sinergicamente accompagnato dal valido cast, una struttura scenografica essenziale, di forte impatto, un testo profondo e scarnito restituito nei suoi dettagli, “Il processo”, si pone come una tappa significativa della drammaturgia di Elio Gimbo, dove il regista trova la misura tra parole, gesti, musica, suoni, canto, in un’asciutta resa dei conti non disgiunta da uno sguardo di comprensione umana.

Kafka, una delle esperienze letterarie più significative del ‘900, ci ha introdotto in questa metafora attraverso l’intera opera. Fondamentale per l’esplorazione in chiave simbolica delle conflittualità con il potere costituito, la figura di questo inquietante scrittore ci pone domande e riflessioni aperte e in progress. Il progetto “Il caso Kafka” che sottintende il chiaro legame tra la vita e l’opera dell’autore è un interessante proposta del Centro Teatrale FabbricaTeatro, realtà significativa del teatro catanese, impegnata in una ricerca costante sugli autori più rappresentativi del disagio esistenziale dell’uomo nei suoi rapporti con il potere e con le istituzioni. Il progetto si sviluppa in tre appuntamenti: due spettacoli, di cui “Il processo” è il primo, cui seguirà “Lettera al padre” con la regia di Gianni Scuto. Alla drammaturgia si è affiancato un pomeriggio di studio con intellettuali, scrittori, operatori culturali del territorio.

IL CASO K

Il processo

Dal romanzo di Franz Kafka.

Adattamento e regia di Elio Gimbo

Con Antonio Caruso, Cinzia Caminiti, Alessandro Chiaramonte, Daniele Scalia, Barbara Cracchiolo, Gianluca Barbagallo, Alessandro Gambino, Babo Bepari

Scene Bernardo Perrone

Trovarobato Mario Alfino

Costumi e canti Cinzia Caminiti

Luci Simone Raimondo

Assistenza alla sala Nicoletta Nicotra

Auditore Salvo Foti

Alla Sala Giuseppe Di Martino di Catania fino al 31 Marzo


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