Fabrizio Gifuni legge Primo Levi

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Ieri, dopo la lectio magistralis del professor Adriano Prosperi per Biennale Democrazia, sul palco del Teatro Regio di Torino è salito Fabrizio Gifuni; l’attore e intellettuale ha interpretato e letto Primo Levi. 

Ieri sera al Teatro Regio di Torino in occasione della kermesse culturale Biennale Democrazia l’attore e intellettuale Fabrizio Gifuni ha letto il libro I sommersi e i salvati dello scrittore torinese Primo Levi – di cui quest’anno si celebrano i cent’anni dalla nascita – nello spettacolo di Valter Malosti, con le musiche di Carlo Boccadoro, Gavin Bryars, Philip Glass, James McMillan, Arvo Pärt, eseguite dall’ensemble d’archi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino diretto da Carlo Boccadoro.

«L’appuntamento di ieri sera – ha spiegato Fabrizio Gifuni – era il secondo di un percorso importante iniziato il 21 febbraio – quando si sono aperte le celebrazioni per il centenario di Primo Levi – dove ho avuto l’opportunità di leggere passi del libro Se questo è un uomo a Fossoli, l’ex campo d’internamento dove Levi fu imprigionato e da cui il 22 febbraio di settantacinque anni fa partì quel maledetto convoglio che avrebbe condotto lui, e altri seicento deportati, a Auschwitz. Lo spettacolo di ieri sera, per Biennale Democrazia, era più articolato: con un ensemble di archi ho presentato il mio lavoro di riduzione e drammaturgia de I sommersi e i salvati. E’ il testamento spirituale di Levi, uscito l’anno prima della sua morte, nel quale sono raccolte le riflessioni di una vita sul terribile evento che segnò indelebilmente la sua esistenza: l’esperienza del campo di sterminio. Se questo è un uomo ha aperto quella riflessione, e I sommersi e i salvati la conclude. Un filo lega queste due importanti opere letterarie».

Cosa lega le due opere? 

«Una lingua straordinaria, proposta da uno degli scrittori più importanti del Novecento. Quando Levi pubblicò la sua prima opera nessuno lo conosceva come scrittore e lui stesso non si riconosceva come scrittore. Levi propone un linguaggio che ha molte affinità con la sua professione, quella di chimico. Ossia, Levi è riuscito a conservare nella scrittura la capacità di “distillare” e maneggiare con cura le parole, con la precisione, la coscienza e la cautela con cui maneggiava le sostanze chimiche nel suo laboratorio».

Gifuni, come proseguirà questo suo incontro Levi?

«Il mio breve ma intenso percorso dedicato a Levi proseguirà con un viaggio ad Auschwitz ad aprile. Un’esperienza che farò insieme a tanti giovani, promossa dalla Regione Lazio. Quattrocentocinquanta studenti degli istituti superiori e centoventicinque insegnanti. Un’opportunità di condivisione che mi è sembrata l’occasione giusta».

Il tema scelto da Biennale è quello della visibilità e dell’invisibilità. Quanto è importante oggi proporre una riflessione partendo da Levi in una manifestazione dedicata alla democrazia?

«È molto importante. Primo Levi ci aiuta a guardare con maggiore consapevolezza alla complessità del mondo contemporaneo e ai rischi che su di esso incombono. Credo che il teatro debba, quando è necessario, proporre una visione politica nel senso più ampio del termine. Il teatro riguarda la polis. Il rituale collettivo dell’ascolto è in sé un gesto politico. Perché investe i corpi delle persone, perché è un momento di condivisione, di conoscenza. Credo profondamente che i teatri debbano essere delle piazze aperte sulla città, luoghi che partecipano alla crescita e alla formazione dell’individuo».


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