La fine di Nassib, noto al Comune, sconosciuto alla Caritas

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Morire di freddo la notte di Natale. Non su una nave che attraversa il Mediterraneo carica di vite alla ricerca di un migliore destino, né alla periferia di una grande città, nella quale nessuno ti conosce e forse per questo nessuno ti offre calore.
Morire di freddo la notte di Natale è possibile anche in una cittadina di provincia di trentamila abitanti, dove in tanti più o meno sapevano che alla stazione ferroviaria bazzicava FouadNassib, 37 anni, di origini marocchine.

La cittadina è Montebelluna, la provincia Treviso, quella Marca gioiosa et amorosa citata per esempi di integrazione e reti sociali che funzionano.
Stavolta però qualcosa non ha funzionato, almeno per Nassib.
37 anni possono sembrare troppo pochi per arrendersi allo scorrere del tempo senza che vi sia un’alternativa alla vita in strada. Ma lui non era un senzatetto da cronaca nera, di quelli con coperte e cartoni e dai quali magari guardarsi quando scendono le tenebre. Lui era una presenza “nota”, un tipo con il quale scambiare qualche parola, al quale offrire una sigaretta, con cui intavolare conversazioni se magari si faceva parte di quel gruppetto di amici che alla stazione faceva base in giornate che paiono scivolar via tutte uguali, in attesa che arrivi una casa, un lavoro, un destino migliore.  Eppure Nassib un destino migliore pareva davvero non volerlo, se – come racconta il sindaco Marzio Favero, docente di scuola superiore eletto per la Lega Nord – tante volte quel senzatetto, noto al Comune ma che non usufruiva dei servizi sociali, era stato accompagnato al pronto soccorso dell’ospedale cittadino per accertamenti.
Ma lui rinchiuso – fossero quattro mura di un deposito ferroviario o un ambulatorio di medicina d’urgenza – non ci voleva proprio stare e per un motivo molto semplice: era un irregolare, un clandestino, uno di quelli che in Italia non possono stare, che non hanno i documenti in ordine, che temono di essere cacciati o peggio.

Eppure a Natale si vorrebbe che tutte le storie finissero con un lieto fine, che quella bontà che pervade la maggior parte degli individui in questo periodo dell’anno, per una volta, almeno per una, riuscisse a sistemare le cose, a scongiurare tragedie. A Montebelluna così non è stato, e la morte per freddo di un senzatetto sembra ancor più priva di senso dal momento che, a pochi metri di distanza dal suo ultimo giaciglio di fortuna, vi sarebbe stata una sala d’attesa riscaldata, a disposizione dei passeggeri dei treni, che però viene sprangata quando l’ultimo regionale è transitato per la piccola stazione non presidiata.
Una volta erano quelli i primi rifugi per questi ultimi: l’atrio delle stazioni. Oggi però, finché il freddo non viene considerato troppo pungente, finché una morte non ridesta le coscienze, restano chiuse da catene e lucchetti, perché non si sa mai, perché i vandali, perché si rischia di trovare tutto distrutto, perché non è dignitoso.

La soluzione dignitosa la offre oggi la Caritas, ma quella di Montebelluna Fouad Nassib non lo conosceva proprio. All’indomani della scoperta del suo gelido corpo senza vita, tutti a Montebelluna si chiedono come fosse possibile. C’è sgomento, indignazione, turbamento.
Un senza dimora noto ma non noto, conosciuto ma al contempo sconosciuto e dunque mai preso in carico. Da qui l’appello, ormai per lui tardivo: segnalate, fatelo sempre, chiamate quando notate un senzatetto in difficoltà, comunicate a enti e istituzioni le situazioni critiche che possono degenerare.
E così si scopre che un fenomeno che si credeva lontano, in realtà ha messo radici appena fuori dalla porta di casa: a Treviso i dormitori sono due e non bastano, ne servirebbe un terzo. Nel 2018 i clochard morti di freddo in provincia sono stati 7, oltre 200 in tutta Italia. Un’emergenza silenziosa, che fa notizia solo quando va a finire male, come è successo a Fouad Nassib, del quale nessuno oggi si preoccuperebbe se non fosse morto di freddo la notte di Natale.


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