E’ pure colpa mia

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“Colpa nostra se vince Salvini,” ha detto Rossana Rossanda a Concetto Vecchio nell’intervista pubblicata da La Repubblica del 31 Ottobre.  Responsabile della politica culturale del PCI e poi tra le massime figure di spicco del variegato mondo della Nuova Sinistra e cofondatrice de il manifesto, è tornata a Roma da pochi giorni dopo anni di  lontananza,  perché le prendeva vergogna vedendo Salvini in tv e diceva  ”E’ anche colpa mia, colpa della nostra parte”.

Giusto. Con il coraggio della franchezza che ha sempre avuto, Rossanda ha affermato pubblicamente  ciò  che  nessuno della  sua autorevolezza ha osato dire prima d’ora: che il quadro politico attuale è conseguenza della mutazione della sinistra, Mutazione che descrive con pochissime ed efficaci parole: “nel suo Dna c’era la difesa dei più deboli. Questo non lo pensa più nessuno”.

Rispondendo all’intervistatore circa l’iniziò della mutazione, la fa risalire al periodo del cambio del nome del PCI  gestito da Occhetto.  Certo quella  della Bolognina fu una svolta decisiva che segnò nel 1989  il momentaneo approdo di un travaglio iniziato  4 o 5  anni prima, più o meno in concomitanza con la fase non meno travagliata  del PCUS segnata dalla Perestrojka.

La crisi del rapporti con i più deboli risale però, a mio avviso,  a un po’ prima e riguardò non solo il PCI, ma tutta la sinistra dal PSI alla Nuova Sinistra, il manifesto compreso. Non fu per scelta, ma per incomprensione dei mutamenti che stavano avvenendo nel “modo di produrre” e quindi nella  modificazione  dei soggetti sociali.

Il PSI di Craxi proclamò il superamento della “centralità operaia” interpretando il passaggio dalle tute blu ai camici bianchi  o ad abiti comuni dome se  segnasse un passaggio di status nei rapporti di produzione che comportasse la scomparsa se non del proletariato  almeno del  suo ruolo strategico. Così  si fece sostenitore della  deregulation  per liberare da vincoli e condizionamenti la libertà d’impresa affidando alle magnifiche sorti del progresso la soluzione della questione sociale.

PCI e tutta l’area alla sua sinistra si opposeeo, giustamente a questa prospettiva, e sostenendo altrettante giustamente che  la centralità della classe operaia non era finita Ma non si accorsero che l’avvento della “logistica” stava rivoluzionando l’organizzazione della produzione, che  si stava passando dal produrre per il  magazzino), da dove  i prodotti partivano  per i clienti (con il rischio  dell’invenduto), a produrre  ciò che era stato già venduto. L’esempio classico  è quello delle catene di montaggio dell’industria automobilistica sulle quali   ogni auto veniva assemblata già  con gli optional richiesti dal cliente cui era destinata. Si richiedeva quindi  una organizzazione molto flessibile della produzione per  adeguarla di momento in momento agli alti e ai bassi dell’andamento  della domanda. Di conseguenza  l’impresa rivendicò  il  massimo grado di libertà nella scelta  delle soluzioni organizzative in quanto  le serviva un “lavoro flessibile”.  Si  portarono così all’esterno dell’impresa attività che sino ad allora si erano svolte in fabbrica (esternalizzazione e spin off); si inventarono  a tal fine nuore forme di rapporti di lavoro, quali  le “partite iva” e i  contratti  di  lavoro atipici (cococo, a progetto,  etc.).

Sorsero così i “nuovi soggetti”. Ma la sinistra non riconobbe in essi forme nuove di proletariato, non si accorse cioè che si trattava di “proletari” non garantiti,  sui quali il “capitale” esercitava il suo comando avocando a sé il plusvalore e scaricando su loro sfruttamento ed alienazione non più attraverso il contratto di lavoro dipendente ma  attraverso altre modalità,   costringendoli ad esempio a farsi imprenditori di se stessi  oppure travestendoli da lavoratori autonomi o liberi professionisti. In gran  parte la sinistra restò abbarbicata al convincimento che il rapporto di lavoro subordinato fosse l’unico veicolo dello sfruttamento e dell’alienazione quando ad esso si erano aggiunte ben altri mezzi e modalità con le quali il capitale esercitava il proprio comnd sul momento della produzione ed anche su quello del consumo.

Fu un gravissimo errore. A compierla non furono solo PCI e sindacati dei lavoratori. Fu anche gran parte della nuova sinistra e persino il manifesto che chiamò bottegai i lavoratori  che espulsi dalla fabbrica  erano stati costretti a “mettersi in proprio” rimanendo “sotto padrone”. Un vivace dibattito si svolse in particolare nell’area della nuova sinistra a proposito dei nuovi soggetti-

Insomma fu quasi l’intera sinistra a non rendersi  conto  che la “logistica”aveva dato un’arma nuova al capitale  con la possibilità di decidere    nuovi modi di produrre e di consumare             .
Era lotta di classe, ma la sinistra, ignara, non  lottò.

Fu così che i “nuovi soggetti” e quella che Detragiache chiamò imprenditoria popolare, non essendo stati riconosciuti dalla sinistra  si ridussero ad affidarsi  alla  Lega, che non a caso D’Alema definì “una costola delle sinistra”. Per la Lega oltre ai “non garantiti” votarono però  anche molti “garantiti” quali  non pochi metalmeccanici iscritti alla Fiom, come anche Rossanda ricorda nella sua intervista. Può supporsi che   avvertivano di non potersi fidare della tutela di chi non stava capendo gran che di come stava mutando il mondo del lavoro. Naturalmente caddero  dalla padella nella brace. Ma <quando infuria la tempesta anche un buco  può diventare porto> secondo quel che dice un noto  proverbio napoletano.

Poi è esplosa la globalizzazione che si regge su di una nuova logica del processo di accumulazione del capitale. Anche questa volta la sinistra  non ci si raccapezzò e si divise tra chi pensava di poterla cavalcare, distinguendo una globalizzazione cattiva ed una buona, foriera della globalizzazione dei diritti, e chi pensava di poterla ostacolare “gettando sabbia negli ingranaggi”. Pie illusioni ambedue.

Così la globalizzazione ha avuto il risultato che l’1% della popolazione mondiale ha concentrato nelle proprie mani il 50% della ricchezza del mondo. Di fronte al trionfo  del capitalismo predatorio  e ai suoi devastanti effetti “collaterali” sia  sul piano sociale sia  su quello ambientale, c’è stato a sinistra  chi ha parlato di “crisi del capitalismo”, perché incapace di risolvere la questione sociale, come se  ciò fosse scritto nel suo dna e non quello della proliferazione del capitale.

E’ da un pezzo dunque, ben prima della svolta di Occhetto  che la sinistra ha smesso di fare la sinistra cioè di  darsi carico della “difesa dei più deboli”. Perché non sia  riuscita a comprendere i cambiamenti in atto  nell’economia mondiale meriterebbe un discorso a parte.

Non sono mancati a sinistra anche in Italia chi a tempo debito ha proposto analisi congruenti con quel che stava accadendo e fornito indicazioni di possibili risposte da apprestare. Ne indico solo due, perché sono quelli con i quali ho avuto la fortuna di lavorare, studiare e lottare: il sociologo del lavoro  Giovanni Battista (detto Nanni) Montironi, docente all’Università degli Studi di Perugia, e Bruno Amoroso, docente all’Università di Roskilde.

Ambedue sono stati inascoltati ed anzi snobbati dalle varie sinistre e. si licet parva componere magnis, io con loro. Per questo se oggi c’è Salvini, come dice Rossanda è colpa di tutto la sinistra. Anche di Nanni e di Bruno e    pure mia perché non siamo stati capaci di farci ascoltare r forse non abbiamo lottato dentro la sinistra quanto avremmo dovuto.


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