La Manovra di bilancio il giorno dopo

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Coro di polemiche e di critiche, dall’Europa, dai sindacati, dagli istituti finanziari, dalle Regioni e dalle università. E non finisce qui

Di Pino Salerno

Sono tanti i fili della polemica che è stata innescata dalla elaborazione e dalla scrittura della manovra di Bilancio varata lunedì sera dal Consiglio dei ministri, inviata alla Commissione europea. E sono davvero tanti i temi polemici che per tutta la giornata di martedì hanno invaso il dibattito pubblico. Moltissimi i commenti critici, sia sull’insieme della manovra, sulla sua filosofia ispiratrice, che per i singoli punti. Esaminarli tutti e riportarli in cronaca appare impresa titanica. Ci limiteremo dunque a tratteggiare quelle polemiche che forniscono al lettore una chiave di lettura più o meno oggettiva di cosa stia accadendo in Italia in queste ore, e non solo nei palazzi romani del potere. Cominciamo con le tensioni con l’Europa, mai sopite e talvolta artificialmente utilizzate da 5Stelle e Lega per ragioni di pura propaganda politica.

La sfida con la Commissione europea. Juncker boccia la manovra: “se accettassimo quello che l’Italia ci propone avremmo delle controreazioni dagli altri Paesi”

Dopo settimane di tensioni sull’asse Roma-Bruxelles, il terreno di scontro da oggi si trasferisce sul piano dei numeri che il governo italiano ha messo nero su bianco nel Draft Budgetary Plan arrivato all’alba sul tavolo di palazzo Berlaymont alla vigilia del vertice dei leader. Apparentemente i toni sembrano accomodanti, le cancellerie, da Berlino a Parigi, fanno sapere che l’Italia non sarà messa sotto accusa durante il vertice, Giuseppe Conte potrebbe avere un bilaterale con Angela Merkel e sentirà Jean Claude Juncker. Donald Tusk parla di “dialogo rispettoso”, mentre i funzionari europei che stanno preparando la riunione chiariscono che il tema non è all’ordine del giorno dell’Eurosummit (cui parteciperà il presidente della Bce, Mario Draghi) in programma per giovedì. Ma la tensione è palpabile, la sfida italiana preoccupa, e la Manovra italiana, benché formalmente fuori dall’agenda, sarà l’elefante nella stanza del Consiglio. Che il bilancio italiano così come arrivato da Roma non abbia molte possibilità di essere approvato lo dice chiaramente il presidente della Commissione, che in mattinata incontra un gruppo di giornalisti italiani di radio e tv. Bruxelles non ha alcun intento punitivo nei confronti dell’Italia, dice Juncker. Ma la Commissione ha già accordato in passato al nostro paese dei margini di flessibilità molto ampi, ricevendo in cambio l’assicurazione che ci sarebbe stato un’attenzione particolare a debito e deficit. Impegno che al contrario, con la Manovra del governo Lega-M5S, non viene onorato. “Se accettassimo tutto quello che il governo italiano ci propone, avremo delle controreazioni violente da parte altri paesi della zona euro”, dice Juncker, ricordando che “l’Europa funziona secondo regole prestabilite prima dell’arrivo dei governi: come nel diritto amministrativo francese, c’è una continuità di servizio pubblico, i nuovi governi devono rispettare la parola nel contesto internazionale e in Europa. Soprattutto quando loro stessi hanno adottato le raccomandazioni della Commissione per il 2018 e 2019”. Pacta sunt servanda, insomma. E l’Italia, ripete il presidente della Commissione, con questi numeri “non rispetta la parola data”. Secondo quanto trapela a Bruxelles, un’ipotesi è di inviare la lettera di richiesta di chiarimenti già domani o dopodomani, anche se per la concomitanza del Consiglio europeo, la Commissione potrebbe decidere di rinviarla al fine settimana. “Abbiamo ricevuto ieri il quadro programmatico di bilancio dell’Italia, come di molti altri paesi. La Ue insomma, farà subito notare all’Italia “un’inosservanza particolarmente grave degli obblighi” europei. Successivamente, salvo cambiamenti di rotta, arriva l’opinione negativa e una richiesta di una versione rivista del quadro programmatico di bilancio, che dovrebbe concretizzarsi entro due settimane. In altre parole, la decisione di bocciare la Manovra deve essere presa entro la fine del mese di ottobre. Domani, si apre ufficialmente la sfida.

Cgil, Cisl e Uil, Def e Manovra confermano i timori: “misure per evasori non per lavoratori e pensionati”

Un attacco alla manovra finanziaria arriva dai sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, che già l’8 ottobre nel corso di una segreteria unitaria aveva fortemente criticato l’impianto del Def. In quella occasione, Susanna Camusso, leader della Cgil usò questa sintesi per bocciare la Nota di di aggiornamento al Def; ” Abbiamo condiviso un giudizio generale sulla non intenzione di misure utili su sviluppo e lavoro, temi che sono assenti come quelli degli investimenti, infrastrutture, sanità, formazione, conoscenza e istruzione”. Camusso ha poi posto il tema sulla questione fiscale, che va “nella direzione sbagliata, a partire dai condoni e allo spostamento di reddito da lavoro e pensioni verso altri”. Sul reddito di cittadinanza ha sottolineato che “per il momento è molto fumoso”, soprattutto in rapporto alle prospettive di lavoro. Lunedì il giudizio lo esprimono Gianna Fracassi, segretaria confederale della Cgil e Barbagallo, leader della Uil. Fraccasi afferma che “tutti i nostri timori sono stati purtroppo confermati. Un enorme condono, mascherato da eufemismi lessicali, con il quale si ricercano consenso e risorse è stato licenziato ieri dal Consiglio dei Ministri. Tuttavia, il messaggio è chiaro: si premiano gli evasori”. Inoltre, per la dirigente sindacale “ogni condono è un incentivo a proseguire nell’evasione, nonostante le minacce di future sanzioni draconiane. Sembra che l’esecutivo – prosegue – voglia applicare il principio di legalità solo agli ultimi, ai più poveri, ai migranti e agli sfrattati. In particolare, rileviamo che non è priorità di questo Governo abbassare le tasse a lavoratori e pensionati, e investire per favorire la crescita di occupazione e lo sviluppo del Paese”. Per Carmelo Barbagallo, leader della Uil, “manca la riduzione delle tasse ai lavoratori dipendenti e ai pensionati (e l’Ance ha confermato che, in edilizia, su tre euro di costo del lavoro solo uno va nelle tasche dei lavoratori), mentre si dà spazio all’ennesimo condono; attendiamo di capire, inoltre, come si intende proseguire nella modifica della legge Fornero; infine, non ci sono le risorse per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego e gli investimenti in infrastrutture sembrano insufficienti”. Come Cgil, Cisl, Uil, ha ricordato Barbagallo, “stiamo predisponendo una piattaforma che vareremo al termine degli esecutivi unitari del prossimo 22 ottobre. Abbiamo delle proposte per lo sviluppo e siamo pronti a confrontarci e a fare la nostra parte per la crescita del Paese”.

Sul piede di guerra anche le banche e le assicurazioni: stangata da 4 miliardi

Sono 4 i miliardi di euro di coperture della Manovra che arriveranno da banche e assicurazioni. Una stangata che emerge dal documento programmatico di bilancio inviato dal governo a Bruxelles e che potrebbe pesare sulla dinamica del credito, in ripresa da “oltre 2 anni”, secondo l’Abi. Domani il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è atteso proprio al comitato esecutivo dell’associazione bancaria, a Milano, dove potrà confrontarsi con i banchieri italiani. Dal rapporto Abi emerge un quadro in cui i prestiti a famiglie e imprese aumentano del 2,1% annuo a settembre, con i tassi sui mutui ai minimi storici dell’1,79%. Stabili invece le sofferenze nette a 40,5 miliardi ad agosto. Nel documento spedito da Roma all’Ue si parla di “interventi fiscali” non meglio precisati sulle banche con efficacia immediata: valgono lo 0,07% del Pil nel 2019, lo 0,05% nel 2020 e lo 0,03% nel 2021, per circa 1,2 miliardi di euro. A questo si aggiunge il differimento della deduzione delle svalutazioni e perdite sui crediti bancari che vale lo 0,05% del Pil nel 2019, un ulteriore miliardo. Ancora, la dilazione in 10 anni dei crediti dovuti ai nuovi principi contabili peserà 1,1 miliardi. Per quanto riguarda le assicurazioni, viene rideterminato con efficacia immediata l’acconto dell’imposta. L’aliquota dell’acconto sui premi, attualmente al 59% per l’anno 2019 e al 74% per gli anni successivi, è rideterminata al 75% nel 2019, al 90% nel 2020 e al 100% dal 2021 a decorrere. Per Altroconsumo,  “gli effetti potenziali su spread e rendimenti dei titoli di Stato potrebbero pesare fortemente sui risparmiatori: per ogni punto percentuale di spread in più, il prezzo dei BTp scende di circa il 7%”. E siccome “le banche italiane hanno in pancia circa 370 miliardi di BTp – il triplo di quanti ne hanno in mano le famiglie – il 7% in meno di prezzo dei BTp sono miliardi di capitale che vanno in fumo. In particolare, per le prime 5 banche italiane del Paese, ogni punto di spread significa 9 miliardi di capitale che vanno in fumo”. Alla luce di questi possibili problemi Altroconsumo annuncia l’avvio di una serie di propri ”stress test” – stile Bce – per vedere quali sono le banche realmente in grado di reggere al deteriorarsi della situazione.

Le Regioni: sulla sanità risorse troppo scarse in Manovra

“Mi pare evidente che il Governo abbia stanziato risorse troppo esigue per la Sanità. E mi pare incredibile che lo si scopra a mezzo stampa, prima di avere la possibilità di confrontarci con il ministro della Salute in Conferenza delle Regioni”, dichiara l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Sergio Venturi, apprendendo dal comunicato di Palazzo Chigi l’entità dei finanziamenti per l’ambito sanitario nella Manovra varata dal Consiglio dei Ministri. “Solo 284 milioni per i rinnovi contrattuali di tutto il personale del Servizio sanitario nazionale e 505 milioni alle Regioni per le spese farmaceutiche non sono sufficienti- sottolinea l’assessore Venturi-. Inoltre, prevedere 50 milioni per tutte le Regioni per abbattere le liste d’attesa, è assolutamente inadeguato. In Emilia-Romagna abbiamo raggiunto l’obiettivo con una diversa modulazione di visite ed esami, aumentando l’offerta e assumendo più personale per affrontare le criticità, azioni per cui la Giunta ha destinato 10 milioni di risorse”.  “Anche in tema di borse di studio per le specialità mediche avremmo voluto confrontarci nel merito con il Ministro- aggiunge Venturi- visto che si tratta di un problema che da tempo solleviamo e su cui come Regione siamo impegnati e abbiamo investito importanti risorse nostre”. E Venturi è solo la punta dell’iceberg di decine di interventi di altri assessori e presidenti di Regioni, del tutto insoddisfatti dalla Manovra.

Esplode il caso dell’abolizione del numero chiuso a Medicina, presente in Manovra

In conclusione, almeno per ora, perché le polemiche non si placano, segnaliamo la polemica sollevata dalla norma che abolisce tout court il numero chiuso alla Facoltà di Medicina. Scritta con un dilettantismo che ha spaventato rettori, docenti, associazioni mediche, organizzazioni studentesche, che pure hanno condotto molte lotte per l’abolizione del numero chiuso e che ha costretto due ministri, Grillo e Bussetti, e pure Palazzo Chigi a fare indietro. La polemica sul numero chiuso a Medicina è davvero una norma “minima”, ma è il segno della sciatteria e del dilettantismo con cui la Manovra è stata redatta dal governo. Più che parlare di abolire il numero chiuso a Medicina nel medio-lungo termine, il governo dovrebbe preoccuparsi di mettere giù un piano per formare più medici nel breve termine. Stanziando però allo stesso tempo anche più risorse per docenti e infrastrutture. Se infatti si aprono universalmente le facoltà di Medicina alle immatricolazioni (si tenga conto che ogni anno in media si presentano circa 70mila ragazzi ai test d’ingresso, per circa 8  o 9 mila posti disponibili) occorreranno risorse per aprire nuovi corsi, per le infrastrutture, per assumere più docenti. Non è un giochetto abolire i test d’ingresso. Probabilmente l’abolizione è sacrosanta e giusta, poiché agevola l’univeristà di massa, ma va fatta con serietà e rigore, perché occorre investire, e parecchio, soprattutto in azioni per il diritto allo studio. Chi ha scritto quella norma in Manovra non sa ad esempio che ogni anno sono più di centomila i ragazzi che si maturano e che non si iscrivono all’Università per mere ragioni economiche. E se il governo decidesse davvero di mettere mano a qualche provvedimento sull’Università cominci dall’elevarne le risorse, a eliminare l’orrore delle sedi di serie A e di serie B o C (queste ultime concentrate soprattutto nel Mezzogiorno), e a garantire il diritto allo studio a decine di migliaia di ragazzi che non se la possono permettere. Si fa fatica a immaginare un sistema pubblico dell’istruzione, di ogni ordine e grado, che continua a fare le nozze coi fichi secchi. E non finisce qui. Alla prossima puntata.

Da jobsnews


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