“Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. “Chi male intende peggio risponde”.
Possiamo trovare nel proverbio (“breve motto, di larga diffusione e antica tradizione”, dice il vocabolario Treccani) un segno inconfutabile della “identità nazionale”?
Ernesto Galli della Loggia rivendica l’esistenza di tale identità sul Corriere (15 settembre, edizione di Roma) in polemica contro Tomaso Montanari. O meglio, contro l’idea che dell’articolo di Montanari “L’identità inventata degli italiani” (Fatto Quotidiano del 10 settembre) Galli della Loggia si è fatto; curiosamente (inconsciamente?) rendendosi colpevole di ciò di cui accusa il presidente di Libertà e Giustizia: “di fabbricarsi un avversario di comodo da poter facilmente stendere al tappeto.”
La tecnica consiste certo nell’ignorare alcuni passaggi dell’articolo commentato, ad esempio laddove Montanari scrive “Naturalmente, tutto questo serve a dire non che ‘gli italiani non esistono’, ma invece che ‘gli italiani sono multiculturali per storia e cultura’” o nel riferimento all’articolo 9 della Costituzione. Ma soprattutto – e più sottilmente – nell’estrapolare alcuni concetti con cui il polemista si sente a torto o ragione a proprio agio (“sinistra”, “nazione”, lo stesso concetto di “identità”, ecc.), astrarli e farne l’oggetto del contendere in un avulso agone di retorica. Letto in questo modo, il contributo di Galli della Loggia offre spunti d’interesse e chiama ad un appassionante prolungarsi della tenzone, finché un giudice (o ogni lettore, singolarmente e per sé) non assegni l’alloro alla tesi più convincente. Peccato però che l’articolo contestato di Montanari viaggi su binari di ambizione, profondità e concretezza talmente diversi, da poter a buon diritto considerare quella risposta irrilevante, se non incomprensibile.
Tale diventa nel momento stesso dell’astrazione dei concetti e del trascinamento del confronto a livello di diatriba retorica; laddove l’articolo di Tomaso Montanari è la lettura (allarmata, circostanziata, minoritaria) del nostro presente storico e politico. Scrive Galli della Loggia, irridendo il suo avversario immaginario: “Non lo sanno forse tutti, infatti, che gli italiani sono il frutto di mille incroci di popoli diversi dalle Alpi alla Sicilia? Che la cultura italiana è sempre stata multiforme e multanime? Che non esiste neppure una cucina italiana?”. Ora, Montanari aveva già contrapposto a queste antitesi la sintesi di un’identità nazionale non solo esistente ma unica, in quanto fondata sulla cultura, varia e ricca al proprio interno ed aperta all’esterno. Ma a prescindere da questo, chiunque non si sia fatto distrarre dalla saporita sfida intellettuale, alla triplice domanda retorica di Galli della Loggia non potrà non alzarsi in piedi e rispondere che “no: non lo sanno tutti!”.
Dove vive Galli della Loggia? Sa che (come riportato dal suo stesso giornale) oltre il 70% degli Italiani ritiene che gli immigrati nel nostro paese siano il quadruplo di quanti sono in realtà? Conosce il dato drammatico dell’analfabetismo funzionale nel nostro paese? Ha presente il successo della Lega nei sondaggi, oggi, e su quali disvalori si fondi? Viene il dubbio, a Ernesto Galli della Loggia, che sia un pochino colpa dei giornalisti di lungo corso se oggi Tomaso Montanari deve ribadire ciò che è, o dovrebbe essere, “ovvio”?
L’anno scorso è uscito per le edizioni Gruppo Abele un libro di Montanari dal titolo “Cassandra muta”, dedicato ad “intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Commentando un passo di Tony Judt sull’autocensura dei giornalisti, a pagina 49 l’autore ha scritto che “la ‘rabbia’ – alla pari dell’indignazione – è esattamente ciò che viene bandito dalle pagine dei grandi giornali. Una coltre di ipocrisia bolla come estremistico, sconveniente, personalistico qualunque vero tentativo di ‘criticare chi ci governa’, e così il dibattito è stato contenuto entro stretti argini di conformismo travestito da convenienza e responsabilità”.
Ignorando il celebre ammonimento di Norberto Bobbio -“Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme”- molti, troppi giornalisti hanno lavorato e lavorano invece per rassicurare, parlare d’altro, astrarre il dibattito dalla realtà, fino a tentare di ridicolizzare chi osa un discorso fuori dal mainstream. In questo modo rinnegano attivamente il ruolo di guardiani del potere loro attribuito implicitamente dall’articolo 21 della Costituzione. E gli effetti li riscontriamo nella qualità, oggi, delle nostre istituzioni. Perché “quando il gatto non c’è…”.