Il fratello del boss voleva il silenzio di Paolo Borrometi. Le motivazione della sentenza che restituisce verità e dignità

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Francesco De Carolis “voleva imporre il silenzio” sul fratello Luciano, su se stesso, sul clan e sul metodo mafioso, su quel certo modo di intendere il potere in quell’angolo di Sicilia. Paolo Borrometi ha rotto quel silenzio e ciò gli è valso minacce gravi. Si riassume così, in un concetto chiaro e durissimo, il passaggio principale che è alla base delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Siracusa che lo scorso due luglio aveva condannato Francesco De Carolis a due anni e otto mesi di reclusione per le frasi “gravemente intimidatorie” pronunciate nei confronti del giornalista” al fine di costringere “in modo non equivoco Borrometi a non scrivere e pubblicare in alcun modo articoli riferentesi ai fratelli De Carolis”. Pretendere il silenzio dunque, evitare che si descrivesse qual era il potere dei clan a Siracusa. Paolo Borrometi, invece, quella cortina di omertà l’aveva violata. E infatti il 15 novembre 2017 aveva raccontato sulla testata giornalistica “laspia.it” le attività della criminalità organizzata in città. Esaustivo il titolo del pezzo: “Siracusa, i clan si dividono la città: boss in libertà e giovani leve pronte a tutto. Ma la gente non denuncia” e, come ricorda la sentenza, il giornalista aveva riportato fatti avvenuti nella zona e riferibili alla criminalità organizzata e fatto, altresì, riferimento agli esponenti di spicco, tra cui appunto Luciano De Carolis che compare in una foto a corredo del pezzo di cronaca insieme a Francesco Fiorentino, Pasqualino Urso, Corrado Greco, Vito Fiorino e Danilo Briante. Questo aveva dato molto fastidio a Francesco De Carolis, al punto da inviare un messaggio contenente le frasi terribili che poi hanno dato vita alla denuncia di Paolo Borrometi e al conseguente processo, in cui, va ricordato, si sono costituiti parte civile l’Ordine dei Giornalisti della Sicilia, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa cui il Tribunale, presieduto da Livia Rollo, ha riconosciuto danni propri da liquidarsi in sede civile.Tra le frasi, gravissime, contenute nel messaggio inviato da Francesco De Carolis al giornalista c’era anche “… gran pezzo di merda, appena vedo di nuovo la faccia di mio fratello in un articolo tuo ti vengo a cercare fino a casa e ti massacro…”. Il Tribunale ha ritenuto che Francesco De Carolis commise il reato di tentata violenza privata in quanto “profferì nei confronti della persona offesa una serie di minacce alla incolumità fisica di quest’ultimo, che si caratterizzano per gravità e concretezza e, pertanto, appaiono dotate di indiscutibile capacità intimidatoria, atteso che non solo prospettano una aggressione fisica brutale, ma altresì paventano la certa impunità dell’autore”. Tali minacce “furono pronunciate dal De Carolis allo scopo precipuo di impedire al Borrometi sia di scrivere ancora del fratello Luciano, sia di denunciare l’aggressione fisica prospettata”. Sia nella denuncia subito presentata che nelle dichiarazioni rese durante il dibattimento il giornalista ha riferito il grande timore che generò in lui l’ascolto del file audio contenente il messaggio minatorio e ha aggiunto che, ciò nonostante, non ha esitato un momento a presentare la denuncia. Il processo a carico del De Carolis è stato l’emblema di quanto sia potente e sfacciata la criminalità organizzata quando si tratta di difendere non solo i propri interessi economici e familiari, bensì il silenzio profondo, che li favorisce. La sentenza segna il riconoscimento dell’onesto e coraggioso lavoro di un cronista come Paolo e si colloca in un anno davvero molto difficile per il lavoro dei cronisti. In contemporanea, infatti, si sono svolti a Roma i processi a membri del clan Spada per le minacce subite da Federica Angeli e le lesioni in danno di Daniele Piervincenzi ed Edoardo Anselmo. Le sentenze restituiscono verità e dignità al lavoro di questi giornalisti e assegnano un ruolo preciso all’informazione ma sono, altresì, il segno tangibile della protervia della mafia attuata a Roma, a Siracusa e dovunque sia necessario. Infine: le motivazioni della sentenza De Carolis sono un riconoscimento al lavoro di Paolo anche nel suo ruolo di Presidente dell’Associazione Articolo 21 e di questo siamo orgogliosi.

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