Due istantanee da Genova e Catania. E il “fermo immagine” parla più d’ogni cosa

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Come testa d’ariete sgangherata e primitiva un tronco di pilone in calcestruzzo penetra letteralmente una finestra che penzolava ancora prima del disastro, sotto il viadotto della malora, “sineddoche” (mi si conceda il termine)  di tante e tante costruzioni sormontate dal cemento armato, dallo scorrimento veloce, dal massimo del profitto e dal minimo dei costi.

Fermo immagine: se il mestiere del critico   è anche quello di saper ‘leggere’ non solo uno spettacolo, un film, un assemblaggio (dal vivo o riprodotto) di fotogrammi o personaggi in movimento, ma soprattutto sapersi “concentrare” sul significato e sul significante di una sola immagine, di un solo segno, di una sola traccia parlante (analista dell’attimo fuggente ‘impressionato’ in elettronica o fotosintesi chimica), come sottrarsi al dovere, professionale e deontologico di valutare “forma e contenuto” (laddove entrambi si intersecano) di quel mazzacavallo che sfonda la miseria, presente e preesistente?   “Le finestre guardano il muro del pilone, aprirle non serve per respirare, soffocate come sono dal cemento che in alcuni punti è letteralmente poggiato sul cornicione”. Prima e dopo la voragine.

E’ demagogico restarne nauseati, straniti, furibondi? E’ ideologico abbassare lo sguardo su quelle povere palazzine di edilizia popolare, costruite prima dell’avveniristico “gioiello di ingegneria”, per dedurre che il ponte (issato da ‘sopra’ verso la gente ‘di sotto’) aveva fatto le sue vittime prima di imprigionarne definitivamente suppellettili, mobilia, animali domestici rimasti in trappola?  Mentre scriviamo il telegiornale avverte che gli scricchiolii (dal troncone di viadotto sospeso nel nulla) sono in aumento, che la zona rossa dove gli sfollati si recano in tutta fretta -e a scaglioni -per recuperare vestiti e medicine è da considerare “inaccessibile” sino  a nuovo ordine. E che l’ “ultimo precipizio” del bestione dimezzato è atteso – contemplato- quasi con fatalismo. Quanto alla “giustizia sino al terzo grado” banale scommettere  che i tempi di indagine, dibattimento, sentenza pareggeranno o supereranno quelli di uno scempio da archeologia industriale, già rimosso dalla collettiva coscienza. Se Thysssenkrupp non vi richiama più nulla.

Altro “fermo immagine”, anche nel senso di inerte attesa, potrebbe giungere (se non è troppo radical-chic) dal Porto di Catania, dalla Motonave Diciotti (territorio italiano) attraccata al molo sud, due passi da Palazzo Biscari, dalla piccola e benedicente edicola di S. Agata. Equipaggio, passeggeri, capitaneria:  tutti ignari se restare o andare, se trattenere o far sbarcare i superstiti del Mediterraneo, le larve umane scampate al cimitero (invisibile) più ampio (e profondo) d’occidente. Il braccio di ferro fra in Viminale e l’Unione Europea merita questo e altro, e che nessuno si azzardi a dar cenni di cedimento.  L’ing. Bertolaso   rassicura “stanno molto meglio di prima, hanno un’infermeria e sono pure coccolati come mai in vita loro”. Perturbante.

I portuali del luogo, volti orgogliosi scolpiti nella salsedine, si apprestano ad organizzare per grandi e bambini una propiziatorio buffet  a base di pizzette, arancine, cannoli e panzarotti. Mangeranno tutti insieme o s’inventeranno un nastro trasportatore che dalla terraferma imboccherà, a ‘distanza politica’ (e cocolosa), gli ulteriori  (117) dannati della terra? … Non ho, non abbiamo (più) parole…

Ps  Tarda sera. Invocando una lugubre ‘soluzione finale’, Salvini (uomo pericoloso, ma sbandierato ‘cuor di papà’) ha permesso ai minorenni a bordo di cibarsi sulla banchina. Bene così: torna la “pacchia” (con un pò di nomade scabbia).


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