Gli intrecci perversi per nominare il CdA della RAI

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Questa volta il cavallo azzoppato di Viale Mazzini potrebbe esalare l’ultimo respiro. Nella più ortodossa pratica lottizzatoria dei decenni passati, anche la nuova maggioranza giallo-verde si appresta ad “occupare” i vertici del Servizio pubblico, nonostante le roboanti accuse di “asservimento al governo e ai partiti”, lanciate prima e durante la propaganda elettorale per il 4 Marzo. Archiviata la nomina del Presidente della Commissione di Vigilanza, andata all’ex-giornalista di Mediaset Alberto Barachini, uomo di fiducia di Berlusconi, nonché curatore della campagna elettorale di Forza Italia, ora l’attenzione si sposta sui due nomi più importanti nella gerarchia del nuovo sistema di governance della RAI: il presidente e l’amministratore delegato, che dipenderanno strettamente dal ministero dell’economia e quindi dal governo.

Sarebbe questa la “rivoluzione 2.0” dei 5Stelle per liberare la RAI dalle influenze dei partiti e delle lobbies, che da sempre ne hanno determinato scelte produttive, nomine, carriere e fortune o disgrazie finanziarie?

Il clima dentro l’azienda di Viale Mazzini, nei 4 centri di produzione principali (Roma, Milano, Napoli e Torino) non è dei migliori, così come nelle altre sedi regionali. I quasi 13 mila dipendenti, per la prima volta, dovranno giovedìeleggere un loro rappresentante nel CdA. E mai come stavolta gelosie corporative, incomprensioni sindacali e“consorterie lobbistiche” hanno influenzato la vigilia elettorale.

I dipendenti andranno in ordine sparso, ognuno con un proprio candidato, non essendo stato raggiunto nessun accordo tra le parti.

I 1.700 giornalisti, guidati dall’Usigrai, il sindacato che storicamente si è sempre opposto alle logiche di una RAI asservita all’esecutivo e ai “potentati” produttivi, che ormai ne condizionano le trasmissioni principali, escluse le Informazioni, sostengono Roberto Natale. Giornalista, proveniente dagli ex-borsisti e non dalle assunzioni clientelari, già segretario dell’Usigrai con spirito di collaborazione unitaria verso le altre categorie lavorative interne (dote che gli è stata spesso riconosciuta dalle stesse organizzazioni), ex-portavoce della presidente della Camera Boldrini, nonché uno dei fondatori dell’associazione Articolo 21. Al loro voto potrebbero assommarsi quelli dei programmisti e curatori dei programmi delle Reti e deitecnici dei Telegiornali e del Giornaleradio.

I 300 dirigenti, l’anima influente di viale Mazzini, un sorta di “contropotere” interno che sovrintende alla gestione amministrativa e finanziaria, alla scelta del personale, ma anche alle decisioni tecniche e alle innovazioni, portano il responsabile dell’area tecnologica e sviluppo, l’ingegner Stefano Ciccotti, con una lunga esperienza anche fuori dall’azienda nel settore delle TLC, già capo per molti anni di RAIWay, la società che gestisce i ponti di trasmissione.

Quindi si arriva ai 2 rappresentanti delle altre categorie lavorative, il “ventre molle” dell’azienda, suddiviso nei tre sindacati di categoria confederale, CGIL-CISL-UIL, quello di destra UGL, lo SNATER e altre entità “di base”. Questi, che sono la maggioranza dei dipendenti, si sono divisi su due candidati. I confederali, guidati dalla CGIL, e l’UGL hanno indicato un funzionario della direzione Affari istituzionali ed internazionali, Luigi De Matteis Tortora; gli altri, definiti “gli irriducibili”, i movimentisti, un po’ “grillini nel loro agire, che fanno capo al Centro di Produzione di Roma, portano Riccardo Laganà, legato al movimento MoveOn, propenso ad una drastica riforma della RAI.

Sulla carta, quello che ha più chance di essere eletto è il funzionario De Matteis Tortora, ex-segretario particolare del consigliere di amministrazione berlusconiano Antonio Verro, assunto tra le proteste dei sindacati interni nella Direzione che ha il compito molto delicato di “interfacciarsi” sia con la Commissione di Vigilanza, sia con il governo e con le istituzioni europee. Ai tempi in cui la direzione era guidata da Marco Simeon, che da Sanremo aveva spiccato il balzo a Genova nel CdA della banca Carige (pupillo dell’allora Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone e del presidente della CEI Angelo Bagnasco, entrambi arcivescovi di Genova, e molto amico di Luigi Bisigani, implicato in varie inchieste su logge massoniche coperte), era comunque il giovane De Matteis che curava i rapporti con i politici e gli esponenti del governo.  

Oggi, i suoi “trascorsi forzitalioti, non certo di simpatie verso il centrosinistra, sono stati come messi nell’oblio dalle “convenienze politiche” dei sindacati confederali, che mal sopportano la capacità di iniziativa e di presenza mediatica dell’Usigrai. Soprattutto, si assiste a come una “resa dei conti” tra il personale amministrativo e tecnico, da una parte, e quello giornalistico, dall’altra. Vecchie asprezze dovute anche ai diversi trattamenti stipendiali, all’evoluzione delle carriere non certo favorevoli al comparto “non giornalistico”. Anche se, nel passato molti dirigenti sindacali confederali sono arrivati anche ad incarichi dirigenziali di prestigio a Viale Mazzini. Ruggini strumentali, evidentemente!

Ma anche influenze esterne, riconducibili, come ipotizzano i vertici dei sindacati dei giornalisti FNSI ed Usigrai, ad “ambienti trasversali”, lobbies paramassoniche e opusdeiste, esterne agli stessi partiti, ma molto influenti e determinanti, che da sempre riescono a bloccare qualsiasi tentativo di riforma partorita dall’interno della RAI: come per gli ultimi Piani di rinnovamento proposti in Cda dagli ex-direttori generali Gubitosi e Campo Dall’Orto.


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