Un campo e una casa colonica

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di Giuseppe Baldessarro

«Sono cresciuto nella cultura del lavoro, mio padre mi ha insegnato che lavorando con passione e cura nulla era impossibile. Perché a “buon cavallo non manca sella”..». La vita di imprenditore di successo di Gaetano Saffioti ha radici antiche. Radici profonde e insegnamenti. Gli insegnamenti di Vincenzo, un padre che amava dire: “Quando i miei figli cresceranno abbracceremo il mondo”. Di figli Vincenzo ne aveva sei, Tanino era il secondo. Bocche da sfamare con il lavoro di un frantoio in contrada Acqualive.
I Saffioti agli inizi degli anni ’70 avevano acquistato un piccolo podere che apparteneva a Leonida Repaci, l’intellettuale palmese fondatore del Premio Viareggio. Un pezzo di terra e una casa colonica. Una piccola tenuta ai piedi del monte Sant’Elia. Spazi ampi per il frantoio e una struttura facilmente da raggiungere per i contadini e per i proprietari terrieri della zona. Con il vantaggio di avere anche la disponibilità di un alloggio per la famiglia che cresceva di numero. Un sogno per Vincenzo, che avrebbe potuto fare casa e bottega e controllare meglio gli affari.
In quegli stessi anni, proprio in funzione della piccola azienda di lavorazione delle olive c’era stato un secondo acquisto. Vincenzo aveva comprato un trattore, un 30 cavalli Ferrari, di colore verde. Parte da quel mezzo la storia imprenditoriale di Gaetano, dall’amore per le macchine. Quel Ferrari aveva alimentato la sua “malattia”. Nei giorni successivi all’acquisto, quando aveva poco più di dieci anni, aveva studiato quel trattore in tutti i suoi dettagli, ci aveva passato sopra ore e ore in attesa del giorno in cui l’avrebbe guidato. Sapeva che sarebbe diventato una sua protesi, parte della sua stessa anima. Aveva imparato a guidarlo rapidamente, con sorpresa di tutti. E sarebbe diventato il suo compagno di lavoro per mesi, anni, per una vita. Se tutto quello che sarebbe successo dopo ha un’origine precisa, questa va probabilmente cercata in quell’acquisto. Il frantoio aveva iniziato ad andare bene, anzi benissimo.
Il lavoro era intenso dall’inizio dell’autunno fino alla fine della primavera. C’erano cinque presse in azione praticamente per 24 ore al giorno e per sette giorni alla settimana. Dava da campare a due dozzine di operai. Un lavoro pesante a cui Vincenzo e i suoi dipendenti non si sottraevano, e anche i ragazzi si sentivano pienamente coinvolti.
C’era da rimboccarsi le maniche dal punto di vista fisico, ma bisognava anche lavorare con la testa controllando i carichi di olive. Poi tutta la parte burocratica, con le carte da compilare per accedere ai contributi comunitari per la produzione dell’olio.
Bisognava selezionare il frutto e l’olio da consegnare. Era indispensabile tener d’occhio la resa secondo regole contadine antiche. Di clan e di mafie non si parlava mai in casa, o meglio… Continua su mafie 


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