Derive del terrorismo e dell’antiterrorismo in “Non c’è sicurezza senza libertà” di Mauro Barberis (ilMulino, 2018)

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Il saggio del professor Barberis si apre con una citazione di Edward Snowden che in parte anticipa il fulcro centrale del discorso portato avanti dal filosofo e per il resto rende perfettamente l’idea di cosa il lettore deve aspettarsi inoltrandosi tra le righe del libro Non c’è sicurezza senza libertà, edito quest’anno da ilMulino: «Il terrorismo è solo un pretesto».

In Putinofobia (Piemme, 2016), Giulietto Chiesa afferma che, mentre il terrore rosso operante nell’ex Impero Sovietico fosse un nemico vero dell’Occidente, il terrore verde, ovvero quello di matrice islamista, sia in realtà una mera invenzione dello stesso Occidente. Non è l’unico saggista ad affermare una cosa del genere ma bisogna stare bene attenti al significato di queste parole.

Lo stesso Barberis, che in Non c’è sicurezza senza libertà più volte si avvicina alla linea tracciata anche da Chiesa, risulta essere ben lontano dall’affermare che il terrorismo islamista non esiste, letteralmente parlando. È ovvio che gli jihadisti esistono, come pure i foreign fighter. Naturale che gli attacchi terroristici nelle città dell’Occidente ci sono stati, come pure le vittime… quello su cui Barberis, Chiesa, Luizard e altri studiosi invitano a riflettere sono le dinamiche che hanno dato origine a detta forma di terrorismo e le conseguenze, durature seppur non immediate e dirette, di questi attacchi al cuore e ai simboli della civiltà occidentale.

Pierre-Jean Luizard, storico e direttore di ricerca al Centre national de la recherche scientifique a Parigi, in La trappola Daesh (Rosenberg&Sellier, 2016) afferma che l’unica strada indicata come percorribile per annientare in maniera definitiva il terrorismo estremista di matrice islamica sia la sconfitta militare del Califfato. È una storia già nota, quella che raccontano media e politici, che prospetta una soluzione già fallita. Basti ricordare quanto accaduto all’indomani degli attentati dell’11 settembre del 2001, alle guerre e alle invasioni che ne sono derivate, alla uccisione di Osama bin Laden e all’affermazione dell’avvenuta sconfitta di Al-Qã’ida.

Il terrorismo islamista si è presentato più forte e organizzato di prima ed è tornato prepotentemente e più volte a bussare alle porte degli stati occidentali, mietendo vittime e democrazia. Esatto, perché è proprio da questo punto che parte la dettagliata analisi del fenomeno portata avanti da Mauro Barberis. Sentirsi o essere al sicuro non significa necessariamente sentirsi o essere liberi. Spesso i valori di sicurezza e libertà, «lungi dell’essere solidali, confliggono». E allora non si può non chiedersi, insieme all’autore, a quanta libertà personale abbia dovuto rinunciare ogni occidentale in seguito non solo e non tanto alle minacce terroristiche quanto alle misure restrittive e limitative intraprese dai vari governi, Stati Uniti in primis.

Conta poco che un 11 settembre sia oggi, con tutti i controlli aerei posti in essere, irripetibile. Autorità e apparati conservano i poteri e le risorse loro attribuiti per prevenire la replica. Da eventi come l’11 settembre, o da noi in Italia i terremoti, si sta «sviluppando una sorta di capitalismo della catastrofe» che ruota intorno al concetto di “sicurezza sociale” che non è mai stata un ostacolo allo sviluppo del mercato «come crede la gran parte dei neoliberisti contemporanei, ma una sua condizione necessaria».

Più volte citato dallo stesso Barberis, Michel Foucault sosteneva che la seconda conseguenza del liberismo, e dell’arte liberale di governare, è la formidabile estensione delle procedure di controllo, di costrizione e di contrappeso delle libertà. L’allerta seguita agli attacchi terroristici in territorio occidentale ha innalzato notevolmente l’asticella dei controlli e delle limitazioni della privacy di ognuno. Ma quanto in realtà queste misure possono o incidono sul reale rischio di nuovi attentati? Barberis afferma che la quasi totalità delle misure antiterrorismo è inadeguata, non necessaria e sproporzionata. Perché viene posta in essere comunque?

I limiti militari e tattici del nuovo terrorismo sono stati più volte dimostrati sul campo di battaglia. La vera forza dei terroristi risiede nell’eco mediatica che le loro “gesta” riscontrano sui media e nella Rete. Se le loro azioni, al pari delle minacce e dei video propagandistici, non ricevessero l’attenzione mediatica che invece trovano in tutto il mondo ormai il loro “potere” e la conseguente efficacia ne sarebbero inevitabilmente compromessi. Mauro Barberis sottolinea come ciò sia vero anche per le misure e le reazioni antiterroristiche dei governi, i quali sembrano affidarsi sempre più spesso alla tattica della politica-spettacolo, dove tutto viene “spettacolarizzato” al fine di ottenere il consenso del pubblico, ovvero dei cittadini. Tattiche che possono risultare affini, almeno per quel che concerne l’esagerazione o, se si preferisce, l’estremizzazione.

Battere così tanto sul concetto di sicurezza può anche sembrare un modo per stimolare e, al contempo, far leva sulla paura. Una persona che ha paura è decisamente molto più remissiva. In nome della sicurezza di tutti si può anche arrivare ad accettare passivamente limitazioni della propria libertà personale purché ciò sia utile a sconfiggere il pericoloso nemico che motiva i provvedimenti di urgenza intrapresi dai vari stati. Provvedimenti che poi si trasformano da eccezione a regola.

Riscontrabile, ad esempio, nella tendenza degli esecutivi ad appropriarsi della legislazione in tempo di guerra tramite la decretazione d’urgenza. Poi le guerre finiscono ma i governi, compreso quello italiano che ufficialmente non entra in guerra da settant’anni, continuano a legiferare per decreto. Quanti decreti vengono approvati? Qual è la loro reale emergenza? A legiferare non è preposto il Parlamento?

Quesiti doverosi su argomenti complessi è vero ma molto attuali. Situazioni e decisioni da cui derivano le sorti di interi popoli e nazioni. Tematiche di cui, a volte, spaventa il sentirne parlare o leggere perché, più o meno consciamente, si teme la scoperta di un ordine inverso delle cose, delle azioni e, soprattutto, delle motivazioni che hanno preceduto e determinato le scelte, di governi e terroristi. Eppure, alla fine, risulta sempre positivo lo studio e l’approfondimento di questi temi.

Non c’è sicurezza senza libertà di Mauro Barberis si presenta al lettore come una sistematica analisi di concetti, nozioni, dati, diritti e violazione degli stessi che ruota intorno a due termini affatto scontati: sicurezza e libertà. Un libro che appare moderato anche nelle tesi “estreme” più volte espresse, le quali vanno assimilate e maturate prima di essere frettolosamente giudicate o mal-interpretate.

Una interpretazione che deve essere portata avanti con una grande onestà intellettuale, la medesima che Barberis chiede abbiano sempre i “produttori” culturali, prima ancora dei politici e dei governanti. Avallando così l’ipotesi e la speranza che un’informazione e una educazione “libere” possano essere le migliori apripista per i cambiamenti di cui il mondo ha bisogno. Cambiamenti che potranno e dovranno per forza venire dalla cultura, in particolare dai libri, vero punto di forza nel giudizio dell’autore, il quale attribuisce loro una potenza talmente intensa da essere, a volte, una vera e propria catarsi.

Una lettura forse impegnativa Non c’è sicurezza senza libertà di Barberis, soprattutto nell’excursus storico-politico e nell’analisi dettagliata di dati e provvedimenti governativi, ma di sicuro interessante e, per molti versi, illuminate. Assolutamente consigliata.


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