Risarcimento Hashi Omar Hassan: “Ennesima ingiustizia, ma forse dovrò accettare anche questo”

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La notizia del risarcimento ad Hashi Omar Hassan è passata, ma la delusione resta. Mancano pochi giorni alla scadenza per fare ricorso, ma gli avvocati che lo difendono stanno ancora valutando se chiedere in Cassazione di aumentare la cifra, 3 milioni 181 mila euro, per aver costretto Hashi a 17 anni di carceri speciali; per averlo usato come capro espiatorio per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin; per essere stato portato in Italia con l’inganno; per averlo privato della possibilità di vedere la famiglia. «L’ennesima ingiustizia nei miei confronti. Stiamo vedendo cosa fare, ma forse devo accettare anche questo» ha detto Hashi dopo l’incontro con i legali che lo difendono. Per l’avvocato Antonio Moriconi, quella stabilita «sembra una cifra esorbitante, ma non è così. Ci sono altri casi di cittadini italiani a cui lo Stato ha dato molto di più». Come accaduto a Giuseppe Gulotta, vittima di un errore giudiziario che lo ha costretto a 22 anni di carcere per la strage della casermetta di Alcamo Marina, il 26 gennaio 1976, nella quale vennero uccisi a colpi di arma da fuoco due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. A Gulotta sono stati riconosciuti 6 milioni e mezzo di euro.

Per quanto riguarda Hashi, una parte del risarcimento, 238 euro al giorno, sono per ingiusta detenzione; poi ci sono altri 262 euro sempre al giorno, che sono stati dati in “via equitativa” per il danno morale sofferto, la perdita di capacità, il carcere speciale patito perché ritenuto soggetto pericoloso: «Questi 262 euro in più al giorno non sono congrui rispetto a tutte le sofferenze patite. Ricordiamoci sempre che Hashi è stato portato qui con l’inganno; che quando sono morte le sorelline non ha potuto neanche salutarle» continua Moriconi. Ma fare ricorso è una possibilità che potrebbe peggiorare la situazione perché il rischio è che andando in Cassazione, il risarcimento arrivi tra chissà quanti anni. E c’è anche la paura dell’impronunciabile pregiudizio che in fondo Hashi se la sia passata meglio in Italia, sebbene in carcere, che nella pericolosa e povera Somalia.

In linea teorica potrebbero ricorrere anche l’avvocatura dello Stato e la procura generale che però avevano chiesto 3 milioni e mezzo quindi è molto probabile che non faranno nulla.

La tragica beffa è duplice e non riguarda solo Hashi, ma anche i cittadini italiani, tutti. Per la commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin; per tutte le consulenze che sono state fatte; per il processo, sono stati spesi milioni e milioni di euro. Il risultato è che manca un colpevole, un mandante di quel duplice omicidio avvenuto 24 anni fa. Insomma, quando si parla del “costo” di depistaggi, errori e bugie, non basta guardare ai 3 milioni 181 mila euro.

Hashi, che sente su di sé il peso di questa ingiustizia, mentre ci parla ha come sempre ha la voce tranquilla, mai rancorosa. Poche parole su se stesso e la sua attuale situazione poi il suo pensiero va al 17 aprile, quando i giudici si esprimeranno sulla richiesta della procura di Roma di archiviazione per l’impossibilità di risalire al movente e agli autori degli omicidi e per assenza di prove sui presunti depistaggi. «Non ne posso più di entrare nei tribunali italiani – conclude Hashi – ma il 17 ci sarò anche io. Sono fiducioso, io sono sicuro che si continuerà ad indagare su chi ha ucciso Ilaria e Miran. Non è possibile che finisca tutto così».


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