[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Laura Dowley pubblicato su openDemocracy]
“I potenti si sono impossessati del Messico ma noi, con il vostro aiuto, lo riavremo indietro!” Sono queste le parole di María de Jesús Patricio durante un comizio politico lo scorso 11 febbraio. La Plaza fuori dal Palacio de Bellas Artes – un centro storico-culturale importante nel cuore di Città del Messico – era gremita di sostenitori per ascoltare la donna che speravano potesse condurre la società messicana verso un cambiamento radicale.
Maria de Jesus Patricio, comunemente nota come Marichuy, è una guaritrice indigena nahua dello Stato di Jalisco, nel Messico occidentale. È stata designata come portavoce dal Congresso Nazionale Indigeno (CNI), una coalizione costituita da 58 gruppi indigeni, con il compito di rappresentarli durante le campagne presidenziali di quest’anno.
Sebbene la donna non sia riuscita a raccogliere il numero di firme necessarie per partecipare alle elezioni, previste per il prossimo 1 luglio, non sarà di certo questo a far scoraggiare il CNI. Durante il comizio di febbraio la consigliera yucateca Yamili Chan Dzul ha affermato: “Dopo le elezioni del 2018, ce ne saranno molte altre e continueremo a combattere” e ha poi proseguito: “Continueremo ad andare avanti. Questa campagna è un invito a risvegliare le nostre coscienze.”
Eppure, per il CNI la raccolta delle 866.593 firme necessarie ai candidati indipendenti per la corsa alla presidenza – ovvero l’1% della media del numero degli elettori iscritti in ogni Stato – ha rappresentato un vero problema.
Per tutto il tempo della campagna per la candidatura di Marichuy, il Congresso ha sostenuto che il meccanismo impiegato nella raccolta delle firme discriminasse fortemente le comunità indigene, che costituiscono il nucleo della loro base di supporto.
Le firme vengono raccolte tramite un’app dell’Istituto Nazionale Elettorale, ma molti abitanti delle comunità indigene non possiedono cellulari, per non parlare dei dispositivi che si connettono a una rete. Stando infatti ai dati della Banca Mondiale, in Messico gli utenti Internet rappresentano solo il 60% della popolazione.
Marichuy è stata la prima donna indigena in assoluto che, sostenuta dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha cercato di candidarsi come presidente.
Questo movimento radicale indigeno di sinistra è famoso per aver portato avanti un’insurrezione nel sud del Paese, iniziata il 1 gennaio 1994, giorno di entrata in vigore dell’Accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA) fra USA, Canada e Messico, e motivata dal fatto che tale accordo insieme al neoliberalismo economico avrebbe avuto un impatto negativo sulle comunità indigene.
Durante il comizio di febbraio sul palco Marichuy era circondata da cinque consigliere indigene scelte dalle stesse comunità per rappresentarle all’interno del CNI. La presenza di un gruppo di sole donne è stata, pertanto, fondamentale in un Paese in cui il sessismo è un fenomeno assai diffuso.
Rosario, un piccolo imprenditore dello Stato del Messico, appena fuori Città del Messico, mi ha detto: “Sono contento che il CNI abbia scelto una donna”. “Queste comunità indigene sanno che le donne rivestono una posizione importante e che hanno la capacità di organizzarsi.”… Continua su vocuglobali