Black Panther, decostruzione di una pellicola che si contraddice

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[Traduzione a cura di Alessandra Pani dall’articolo originale di Biko Agozino pubblicato su Pambazuka]

La diffusione di un film di Hollywood dovrebbe sempre essere accompagnata da un avviso per la salute del consumatore, a servizio delle persone di origine africana: “Attenti all’ideologia dell’Estetica”, come direbbe Terry Eagleton. Con tutta la pubblicità che lo circonda, Black Panther: lunga vita al Re fa parte di quel genere di guerra ideologica manipolatrice, e il suo sottotitolo avrebbe dovuto essere “Abbasso il Re”, visto che aderisce a quella che Wole Soyinka chiama la pseudo tradizione del neo-tarzanismo.

Il regista e co-sceneggiatore Ryan Coogler, fan dei fumetti neri, ha cercato di rendere Black Panther entusiasmante per i più (in particolare per i fan della comunità nera) per far arrivare le prevendite ad un livello mai visto dalla Marvel. Il film offre ai ragazzi neri degli eroi che hanno il loro aspetto, parlano e si vestono come loro, e cerca di combattere gli stereotipi che vedono l’Africa come un continente povero. Dal punto di vista estetico, il film può effettivamente essere considerato un successo, grazie all’incredibile design di produzione di Hannah Beachler, che ha lavorato anche a “Lemonade” di Beyoncè, e alla linea storica degli Africani che combattono guerre genocide per decidere chi debba stare sul trono. Tutto questo ha superato i record del botteghino, dimostrando che le storie africane vendono; ma nonostante questo continua a essere un pessimo film.

Il casting di una guardia pretoriana tutta al femminile, in stile Gheddafi e comandata dal generale Okoye (Danai Gurira), è stato osannato come rivoluzionario: i ruoli delle donne vanno oltre quelli di mogli, serve, streghe o puttane. Ci sono anche delle innovazioni, come l’uso della conoscenza africana delle erbe per la cura dei feriti, o i dialoghi in lingue dell’Africa sottotitolati. Importante anche lo sviluppo del personaggio di Nakia (Lupita Nyong’o), che libera le ragazze di Chibok nella foresta Sambisa, e i gadget tecnologici usati sia in guerra che per i trasporti, costruiti dalla principessa Shuri (Letitia Wright). La ragazza mostra pure il dito al medio al fratello T’Challa (Chadwick Boseman), provocando un rimprovero immediato da parte della regina, Angela Bassett. Queste innovazioni sembrano tuttavia essere subordinate alle persistenti storie di privilegio bianco in Africa. Nakia avrebbe dovuto vincere la spilla del movimento #MeToo, in segno di protesta contro l’insistenza di T’Challa, che voleva che smettesse di lavorare come spia per sposarlo.

L’umiliazione della leadership africana comincia con T’Chaka (John Kani), che si reca a Oakland per uccidere suo fratello, considerato suo rivale e sospettato di aver rivelato il segreto delle loro armi in vibranio ad un cacciatore di taglie boero. Non appaiono capi di Stato europei, né americani, perché dare la caccia alle spie è un compito di più basso livello che riguarda la sicurezza nazionale, e non viene mai svolto da capi di Stato. Dato che T’Chaka era l’unico abbastanza intelligente e abbastanza protetto da poter rincorrere delle spie, perché uccidere il suo stesso fratello, invece di rincorrere le spie che avevano rubato il segreto del vibranio?

Eric Killmonger (Michael B. Jordan), il figlio del fratello ucciso, è ora un letale veterano americano, con una certa fama conquistata in Afghanistan, che torna nel Wakanda con il cadavere del ladro, il cacciatore di taglie bianco. Quest’ultimo è Ulysses Klaue (Andy Serkis), per il quale Killmonger aveva lavorato, nel crimine organizzato. Eric uccide Zuri, il Consigliere del re (Forest Whitaker), quando questi confessa di aver fatto la spia e aver rivelato le intenzioni del suo defunto padre. In seguito, sfida T’Challa per il trono, con una storia alla Nollywood (come ad esempio Charles Okocha nel ruolo di Igwe 2Pac, la caratterizzazione è quasi identica). Killmonger chiede di essere sepolto nel mare, come i suoi antenati (Igbo), che preferirono annegare piuttosto che essere resi schiavi: un’appropriata allusione al fatto che gli Igbo subirono anche il genocidio portato dal conflitto in Biafra, nella Nigeria postcoloniale.

Il principe afroamericano viene visto come un estraneo o uno spia straniera (forse perché pronuncia la “t” muta in T’Challa e T’Chaka), mentre una nota spia straniera (Everett K. Ross, interpretato da Martin Freeman) viene reclutato in una guerra fratricida per il potere politico. Sarebbe stato meglio organizzare delle libere e giuste elezioni, e lasciare che fossero gli Africani a scegliere i propri leader. La proposta di Killmonger di dare agli Africani figli della diaspora armi in vibranio, in modo da poter combattere per la libertà, viene giustamente bocciata da T’Challa: il re sembra aver notato come questi uomini armati si uccidano l’un l’altro invece di promuovere la filosofia africana dell’amore chiamata Ubuntu.

Dopo la morte di T’Chaka, T’Challa eredita il compito di dare la caccia alle spie in Corea del Sud, senza successo. Nel resto del film, perde il trono a favore del cugino Killmonger, prima di essere resuscitato per una battaglia che vince con l’aiuto di Ross, una spia della CIA che guiderà un drone che contribuisce ad uccidere Africani. Okoye e le donne africane che fungono da guardia reale combattono con coraggio per chiunque sia sul trono, ma avrebbero potuto combattere queste battaglie insieme agli uomini, per mettere fine alle monarchie e ai governi militari dell’Africa, e istituire democrazie decolonizzate ed equilibrate.

La grande maggioranza degli Africani desidera un sistema di governo democratico, e non dinastie familiari che usano la ricchezza mineraria del regno per comprare proprietà immobiliari nei “ghetti” americani. Nemmeno se lo fanno per istituire un programma di scambio scientifico su un campo da basket, sotto le direttive di un membro della famiglia reale. Il film inizia e finisce con dei bambini afroamericani che giocano a basket a Oakland, in California, poi si sposta in Africa, per mostrare come dei pastorelli vengano usati come abile copertura per nascondere la ricchezza e il potere del Wakanda.

Avrebbero dovuto esserci scuole e università in un’Africa democratica, invece che feudi di una monarchia assoluta, e i figli della diaspora africana avrebbero dovuto essere mostrati a scuola, invece che sul campo da basket. Invece di far vedere bambini pascolare delle pecore che non potrebbero sopravvivere sotto il sole cocente del continente, il film avrebbe potuto mostrare la violenza tra i pastori e i fattori africani, e cercare di risolvere queste contraddizioni promuovendo la costruzione di ranch. Invece di andare in America per istituire un programma di scambio nel Paese che è in testa alle innovazioni scientifiche nel mondo, il film si sarebbe dovuto concentrare sulla diffusione delle meraviglie della tecnologia e della scienza del Wakanda in tutto il resto dell’Africa.

La Disney e la Marvel avrebbero dovuto omaggiare Nnedi Okoroafor, la scrittrice nigeriano-americana di romanzi futuristici africani, vincitrice di numerosi premi, il cui lavoro è riflesso nel film. La Marvel deve essere stata avvisata di possibile accuse riguardanti la proprietà intellettuale da parte dell’autrice, e così l’hanno incaricata di realizzare la versione digitale a fumetti del film, in sei parti, dal 13 dicembre 2017 al 14 febbraio 2018. Sulla sua pagina Facebook, Okoroafor sostiene di essere stata la prima scrittrice ad usare la frase “Lunga vita al re” in un fumetto Marvel; ma la domanda è invece chi sarà la prima persona a scrivere “Al diavolo il re” in un film a favore della democrazia e della Repubblica Africana del Popolo?

*Biko Agozino è un professore nigeriano-americano di sociologia e criminologia, attualmente docente presso l’Università Virginia Tech di Blacksburg. Ha prodotto e diretto Shouters and the Control Freak Empire, vincitore del premio per Miglior Corto (Documentario) al Columbia Gorge Film Festival del 2011.

Da vociglobali


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