Kabul, il respiro del sangue e le urla del dolore e della morte

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È blindata Kabul, c’è un check point quasi ogni 500 metri, posti di blocco, barriere di cemento, filo spinato, hummer e mitragliatrici a tagliare in due le strade.

Il 16 novembre 2017 Sayed Basam Pacha, un giovane tenente di polizia di soli venticinque anni, si reca al lavoro come sempre, la missione è mettere in sicurezza i cancelli e l’area attorno a una wedding hall, le enormi e luccicanti sale da matrimonio afghane, che spesso arrivano a ospitare mille invitati.

Il padre del tenente Pacha è stato generale, ha mandato il figlio a studiare in Turchia dove ha preso due lauree, è tornato qui a Kabul per fare la differenza, per provare a lottare contro la corruzione, contro la mancanza di sicurezza.

Il tenente Pacha entra nella sala ricevimenti per parlare con gli organizzatori, beve un tè, poi torna fuori a riposizionarsi tra i suoi colleghi.

Ai cancelli arriva un uomo, Pacha gli intima di fermarsi ma questo comincia a correre, il tenente capisce allora che qualcosa che non va, forse riesce a intravedere l’esplosivo sotto la giacca dell’attentatore e allora lo abbraccia, per limitare i danni della deflagrazione. Alla fine della giornata, insieme al tenente Pacha, moriranno altri sette poliziotti e sei civili.

Nessun attentato qui è casuale, mascherati da una comoda scusa religiosa ogni attacco ha uno scopo, quello principale è di destabilizzare il Governo e prendere il controllo del Paese. Molte delle esplosioni sono per chi non paga il pizzo o per chi non scende a patti con i criminali, le stazioni degli autobus sono spesso piene di spie che segnalano l’eventuale presenza di stranieri, scopo: il rapimento per riscatto.

Anche in quest’attacco, poco dopo, si è scoperto che gli invitati al matrimonio erano parenti di Atta Muhammad Noor, governatore che da anni si batte per la riduzione dei campi di oppio. Le coltivazioni di oppio sono il principale motivo di lotta tra ISIS e Talebani,  il vero obiettivo dei gruppi estremisti è il denaro ricavato da questi traffici.

Un luogo dove si può capire bene quello che succede in questo Paese è il centro di riabilitazione della Croce Rossa Internazionale a Kabul: qui si vedono gli effetti postumi delle esplosioni, centinaia di uomini, donne e bambini senza arti che imparano di nuovo a camminare con una protesi… Continua su vociglobali


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