I sacchetti del supermercato (giornalistico)

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Della “tassa” sui sacchetti bio a due centesimi l’uno si è scritto anche troppo, tanto che si dovrebbe riflettere piuttosto sul polverone mediatico che può nascere oggi, specie in campagna elettorale, da una notizia non falsa ma falsata come quella. Perché dalle false notizie alle false polemiche il passo è breve. Tanto più breve quando – come spiega oggi Marco Belpoliti sulla Repubblica – manca un’autorità di prestigio in grado di distinguere chiaramente il vero dal falso, inquadrando criticamente il fatto nel suo contesto. Accade allora che la sfiducia reciproca generata da un malcontento diffuso nella società trovi nel sistema mediatico come in quello politico chi è interessato a sfruttare qualunque occasione a proprio vantaggio. E’ vero che le vittime di tale sfruttamento si producono più facilmente nei social network, dove, come osserva Belpoliti,  “tutto equivale a tutto” e “le notizie false scacciano le vere perché più allettanti e divertenti” o “perché danno sfogo al risentimento personale e collettivo”.

Ma a maggior ragione il giornalismo professionale sarebbe chiamato a compiere fino in fondo il proprio dovere, che è quello di dare un’informazione possibilmente obbiettiva e corretta. Se ciò non avviene non è solo perché difettino giornalisti con la schiena dritta, ma perché   ancora oggi l’informazione viene trattata come una merce qualsiasi e come tale premiata o emarginata dal mercato. Ecco perché alle reazioni frettolose e ai pregiudizi diffusi nei social network, dove ognuno appare convinto di avere la verità in tasca, non si può dire che corrisponda oggi un’informazione equilibrata su giornali e tv che provi almeno a rimettere la verità al proprio posto. Con l’informazione trattata come merce, l’offerta si adegua alla domanda di chi cerca una conferma al suo punto di vista e trova noioso addentrarsi nella complessità del reale. E non solo si adegua, ma editori e cronisti fanno a gara per soddisfarla. Sono considerazioni, queste, che i migliori giornalisti fanno da tempo, ma a chi coerentemente pone, almeno per materie sensibili come questa,  il problema tutto morale e politico dei limiti alla libertà di mercato, a chi da anni si batte per uno statuto dell’impresa giornalistica, editori e politici si voltano dall’altra parte.


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