Bisogna scegliere da che parte stare

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Nella ressa da campagna elettorale hanno creato rumore le dichiarazioni dell’aspirante candidato alla presidenza della regione Lombardia, l’ex sindaco di Varese Fontana che teme per “la razza bianca”. Roba da Ku Klux Klan in salsa padana, buona per riempire le pagine dei quotidiani (smentite comprese) e per alimentare l’urgenza di un fronte antirazzista nell’imminenza delle elezioni non solo in Lombardia ma in tutto il paese. Ovviamente il contenuto di quelle dichiarazioni, in un paese civile quale l’Italia è stato forse solo in passato, porterebbe immediatamente ad una condanna sociale prima che politica o giudiziaria del signor Fontana. Ma questo non avviene. Così come non colpisce che il condannato Silvio Berlusconi parli, evidentemente conoscendo la materia attraverso il servizio pubblico, di “mezzo milione di immigrati intenzionati a delinquere”.

Fontana, colpito nel vivo rilancia, sentendo che le sue dichiarazioni politicamente scorrette gli fanno guadagnare consenso nei sondaggi. “Se sarò presidente della Lombardia, caccerò 100 mila clandestini”. Efficace non c’è che dire, peccato che le espulsioni dipendono dal ministero dell’Interno e non dal feudo del Pirellone e peccato che neanche a cercarli con il lanternino esistano così tante persone irregolarmente presenti in Lombardia (che in termini di legge non possono neanche essere considerati “clandestini”. Magari intende espellere anche meridionali, persone che non hanno un reddito elevato, pulizia etnica di classe insomma che non è ancora nei suoi poteri. E forse è giusto, partendo dalla cronaca cialtrona offerta dalla campagna elettorale, domandarsi il perché. È cronaca la morte di un uomo che tentava di attraversare il confine italo francese sopra un treno e morto folgorato.

Pochi giorni fa un altro episodio significativo. Ad una manifestazione pacifica contro la mala accoglienza partecipa un ragazzo – che peraltro era infortunato a seguito di un incidente stradale – ospite di uno dei centri sorti per volontà delle prefetture. Il gestore, che aveva scoraggiato i propri “ospiti” a partecipare alla marcia, ha – secondo le notizie trapelate – aggredito il ragazzo in questione, lo ha colpito sulla gamba ingessata, gli ha distrutto il cellulare con cui poteva comunicare con l’esterno. E se conosciamo l’orientamento politico del candidato alla presidenza della regione Lombardia sappiamo anche che al confine italo francese, a Ventimiglia, c’è un sindaco del Pd che considera reato dare da mangiare, prestare soccorso, essere solidali con i migranti che tentano di violare il confine. A Ventimiglia ci sono due confini: quello fra Francia e Italia e quello fra umani e non. C’è chi ha scelto di stare dalla parte degli ultimi, insieme a cattolici e “no border” e ha anche aperto sportelli di soccorso sociale e legale in spazi messi a disposizione dalla “buona politica” mentre l’amministrazione di centro sinistra sostiene chi emana fogli di via ai solidali. Marcare la differenza, l’alterità totale significa praticare qualcosa di scomodo. Significa non accettare quanto accaduto a Pisa, dove anche una parte di sinistra (Mdp) si è astenuta quando si è trattato di dare il via libera ai Daspo della legge Minniti Orlando. Significa andare contro il senso comune di maggioranza quando a Como si puniscono coloro che offrono cibo o elemosina ai senza fissa dimora, significa stare dalla parte di chi al Brennero come in Sicilia, a Lampedusa, predilige l’inclusione ai respingimenti.

Significa non considerare possibile un dialogo con forze politiche in cui fra i dirigenti esistono coloro che riconoscono valore storico a Mussolini, che considerano “lo stupro commesso da un richiedente asilo più grave rispetto a quello praticato da italiani” o che più “umanamente” si eleggono a leader capaci di “fermare l’immigrazione dalla Libia”. In 16 giorni dall’inizio dell’anno – parliamo del ministro Minniti – 172 sono le vittime accertate in mare, difficile conoscere il numero di quelle rimaste nel deserto o nei centri di tortura finanziati da UE e Italia e tante/i quelle/i che malgrado tutto ce l’hanno fatta a salvarsi. Se il simulacro della destra Silvio Berlusconi, liscia il pelo all’immaginario xenofobo ben più pesante e grave, dal punto di vista politico e culturale è il comportamento di coloro che spacciandosi per progressisti responsabili praticano costantemente la definizione culturale di uno spazio carico di xenofobia. Le scelte operate nell’azione e nell’impiego di risorse economiche per spostare la frontiera sud del paese nei deserti senza speranza del Sahel, fornendo militari e armi, col pretesto “umanitario” di combattere i trafficanti, la collusione con dittature fasciste e mafiose che ben corrispondono alle esigenze del neo liberismo in Nord Africa e nel Medio Oriente, il tentativo perdurante di spartirsi il continente africano fra potenze imperialiste (Usa, Cina, UE), rapinando le risorse ma rifiutando le persone.

E poi la miseria politica con cui, in nome della “sicurezza” non si mette mano ad una legge odiosa e fallimentare come la Bossi Fini che tutt’ora regola la vita di milioni di persone (altro che immigrazione incontrollata), la figura pessima con lo sbandierato e minimo “ius soli”, il rifiuto di proporre l’ingresso per ricerca occupazione di chi cerca fortuna in Europa o la regolarizzazione permanente per chi ha perso i requisiti per restare in Italia, sono volti sordidi dell’incapacità congenita di produrre soluzioni positive per l’intera collettività. Non è solo la “paura da sondaggio” quella che attanaglia quasi tutti, ma l’assenza di proposta politica e della volontà di esistere per modificare l’esistente. A furia di accettare un pensiero unico in cui il liberismo in economia e l’autoritarismo escludente nella politica dominano senza pretesa di modifica alcuna, si diviene parte integrante e strutturale del sistema di dominio. Non è settarismo affermare che coloro che ritengono ipotizzabile un dialogo con questo sistema si ritrovino ad essere rapidamente non solo destinati a soccombere ma come parte del problema e non come elemento di contraddizione e di soluzione. In questa tremenda campagna elettorale che, per quanto breve, avvelenerà i pozzi della convivenza, bisogna scegliere da che parte stare.

Un compito che a mio avviso spetta anche agli operatori dell’informazione che dovrebbero prestare meno attenzione ai picchi di share che si raggiungono intervistando le vuote teste rapate o i più inquietanti colletti bianchi del razzismo, nuovi Goebels del XXI secolo e ricominciare raccontare chi resiste. Chi disobbedisce, accoglie, si mescola, diviene partigiano del “restiamo umani”. Da giornalisti iscritti all’ordine o meno, volontari o abusivi, raccontiamo anche un paese diverso. Le cifre tonde, servono a far riemergere la memoria: sono passati 80 anni dalle leggi razziali in Italia, ricordiamolo parlando del presente perché le tragedie del presente diventino presto un incubo che attiene al passato. Raccontiamo un presente che esiste e che prospetta un futuro in cui vale la pena vivere.


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