Coniugare diritti umani e responsabilità per salvare l’Europa e la democrazia

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Il 10 dicembre da quasi settant’anni è in tutto il mondo la giornata dei diritti umani: si celebra, infatti, la firma della Dichiarazione universale e, in contemporanea, a Oslo si consegna il Premio Nobel per la pace, che quest’anno è stato attribuito all’Ican, la campagna internazionale contro le armi nucleari.

Ma quest’anno il 10 dicembre ha un significato speciale: inizia l’Anno dei diritti umani, che si concluderà il 10 dicembre 2018 con la celebrazione dei settant’anni, appunto, dal varo di quella storica Dichiarazione, prima legge planetaria voluta dalle Nazioni Unite e accolta poi dai paesi membri. Un anno in cui confluiranno altri due anniversari centrali nella memoria del nostro paese: a gennaio, infatti, ricorreranno i settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana; e il 4 novembre prossimo saranno cento anni dalla fine della prima guerra mondiale, costata milioni di morti.

L’Anno dei diritti umani, in Italia, è stato inaugurato dall’incontro di formazione organizzato da Tavola della pace e Coordinamento Enti locali per la pace e i diritti umani insieme al Centro per i diritti umani dell’Università di Padova, fondato proprio 35 anni fa, a dicembre del 1982, primo Centro di studi in Europa dedicato a questa fondamentale area giuridica e politica, grazie al lavoro di ricerca ed elaborazione di Antonio Papisca, primo studioso in Italia del diritto umanitario e uno dei primi nel mondo, che ci ha lasciato pochi mesi fa.

L’incontro di Padova, mirato alla formazione dei docenti della rete delle Scuole di Pace, è stato anche occasione di confronto sulle attuali prospettive in cui deve muoversi l’azione per la trasformazione da lettera a pratica di quella Dichiarazione.

Non serve parlare di diritti ma fare, agire, mettendo in connessione diritti individuali e collettivi: il pensiero di Papisca è stato così ricordato da Marco Mascia, suo storico collaboratore e oggi direttore del Centro. In base a questo convincimento, da quel primo Centro, Papisca ha contribuito a far sorgere in tutta Europa tanti analoghi nuclei di ricerca e, soprattutto, di formazione di nuovi ricercatori e attori nel campo del diritto internazionale umanitario. Mascia ricorda il preambolo della Dichiarazione, dove richiama “che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne (…) l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto.” La centralità dell’educazione è stata riconfermata dalla ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, che ha sottolineato il filo diretto tra il documento delle Nazioni Unite e la Carta costituzionale, che racchiude gli stessi principi e richiama lo Stato a un ruolo forte: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione”.

In spirito di fratellanza“: di qui è partito l’incontro di Padova, nell’aula dove teneva le sue lezioni Galileo Galilei, riprendendo la lettera del primo articolo della Dichiarazione: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” Un angolo di lettura indispensabile – ha sottolineato Flavio Lotti, direttore del Coordinamento Enti Locali per la pace e i Diritti umani – in questa epoca in cui la parola diritto viene tradotta troppo spesso in abuso, in diritto “mio” che nega il diritto dell’altro e tanto più si afferma quanto meno riconosce all’altro, vicino o lontano, analogo diritto. “Accanto alle fake news ci sono i fake rights”: così Lotti ha proposto una rilettura ragionata del termine stesso “diritto”. “In spirito di fratellanza” rende, invece, possibile recuperare il significato della parola, quale protezione del debole, garanzia di vita e dignità, che per attuarsi necessita proprio del riconoscimento dell’essere umano nella fratellanza, uguale ma soprattutto parte della propria famiglia, la famiglia umana.

Non ci sono diritti senza responsabilità” ammoniva sempre Papisca. E responsabilità dev’essere d’ora in poi il paradigma per agire secondo i diritti umani, verso gli altri e, come richiama sempre Papa Francesco, verso la Terra che ci circonda. Lo ha ricordato Pierluigi Di Piazza, fondatore del Centro di accoglienza Ernesto Balducci di Udine, che ha anche sottolineato il ruolo dei migranti come simbolo ideale della negazione dei diritti: prima a “casa loro”, con le guerre, la povertà provocata dalla voracità predatoria del mondo ricco, il furto di terra e l’ambiente contaminato dalle multinazionali, e poi a “casa nostra”, respinti, maltrattati, usati come alibi dei mali delle nostre società.

Il principio di responsabilità deve far riflettere tutti noi, frequentatori di social, ma tanto più quanti tra noi sono giornalisti, quindi investiti di una doppia responsabilità, di cittadini e di generatori di informazione, molto spesso infarcita di parole scorrette, espressioni che fomentano odio, invece di costruire ponti erigono steccati invalicabili, inseguendo la patologia, e dimenticandosi di illuminare le realtà positive che potrebbero essere la cura. La libertà di opinione è tale se risponde alla cultura del rispetto verso tutti.

Questa lettura della parola “diritti” sarà al centro di questo anno di celebrazioni, un percorso mirato a ridare centralità alla Dichiarazione universale e che, a tutt’ora non è realtà concreta neanche in Europa. Celebrazioni che devono passare prima di tutto da scuole e università per dare concretezza alla rilettura responsabilizzata dei trenta articoli che la compongono.

Responsabilità significa farsi carico di qualcuno, e mai come ora questa è la dimensione giusta a garantire la convivenza: mai come ora siamo stati così interdipendenti tra noi, siamo tanti e, benché la ricchezza nel mondo sia in continua crescita, aumenta vertiginosamente la disparità di beni e, quindi, di diritti, e questo crea tensioni, cui solo la cura reciproca può dare una via d’uscita positiva. Questo significa però – ha notato Jean Fabre, esperto di diritti e sviluppo e oggi membro della task force dell’Onu sull’economia sociale solidale – ribaltare l’idea stessa di sviluppo che è alla base dell’Unione europea, l’area del pianeta più ricca, che, dall’originale spirito di solidarietà e giustizia sociale, è approdata allo spirito del mercato che impone agli individui fin dalla scuola, alle realtà economiche e sociali, fino agli Stati di competere gli uni contro gli altri: la negazione di quello “spirito di fratellanza” che la Dichiarazione considera condizione stessa dell’attuazione concreta dei diritti umani in essa contenuti. Bisogna ritrovare la bussola – è sempre Fabre – persa dopo la caduta del muro di Berlino e ripartire dall’Europa, dunque, come centro propulsivo per portare un cambiamento globale. Ripartire, quindi, anche dall’Italia: ci avviamo a una difficile campagna elettorale che deve essere occasione per chiedere a tutti i candidati di dichiarare come intendono procedere rispetto al dovere, morale ma anche giuridico, di riconoscere a tutti i diritti umani. E di qui a un anno lo stesso dovremo fare con i candidati al Parlamento europeo. Perché l’unica via per salvare la nostra democrazia e l’esistenza della stessa Europa unita passa da quella Dichiarazione universale.


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