Il Def, manovretta, piccola piccola “venduta” da Padoan come un grande evento

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No di Speranza (Mdp): voteremo solo lo “scostamento” di bilancio. Non c’è una svolta sulle questioni sociali. Il sì di qualche pisapiano (Gruppo misto)

Di Alessandro Cardulli

Una giornata politica infuocata. Commissioni Bilancio di Camera e Senato in seduta congiunta, impegnate nella discussione del Def, più precisamente del documento integrativo alla Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza inviato alle Camere dal ministro Pier Carlo Padoan che, dopo continue illazioni comparse sulla stampa, ha finalmente svelato la realtà di una manovra piccola piccola. Un documento, a dir poco impresentabile, uno scherzo di natura verrebbe da dire. Il gruppo di Articolo 1-Mdp, Camera e Senato, al termine di una lunga riunione ha deciso di non votare  la risoluzione sul Def ma, “per senso di responsabilità nei confronti del Paese di votare a favore dello scostamento di Bilancio”. Si tratta  di una “autorizzazione”  da inviare alla Commissione Ue per ottenere l’intervento sul deficit che deve essere votata dalla maggioranza assoluta delle Camere. Al Senato, senza i voti di Mdp c’è il rischio che lo “scostamento di bilancio” non passi. Dice Roberto Speranza che di Mdp è il coordinatore: “Io non mi sento più politicamente dentro la maggioranza – ha aggiunto – ma spero ancora che il governo cambi rotta”. Speranza ha argomentato la sua posizione: “Abbiamo chiesto al governo una svolta sulle questioni sociali – ha spiegato -, in modo particolare sulla sanità (con l’abolizione del superticket, ndr) dove è necessario uno sforzo sul diritto allo studio e sul mercato del lavoro”. La relazione di oggi di Padoan è stata insufficiente. Pur essendo state giudicate “insufficienti” le parole di Padoan, “per senso di responsabilità” Mdp ha comunque deciso di votare a favore dello scostamento degli obiettivi sul deficit, per cui serve la maggioranza di 161 voti in Senato. “Senza quel voto – ha detto Speranza – scatterebbero le clausole di salvaguardia e gli italiani avrebbero un danno enorme dall’aumento dell’Iva che colpirebbe soprattutto i ceti sociali più deboli che invece noi vogliamo difendere”. Alcuni senatori pisapiani, cinque pare, che fanno parte del gruppo misto, hanno deciso di votare a favore. Lo annuncia il senatore Dario Stefàno, vicino a Pisapia, il quale afferma  di essere orientato a votare a favore della  nota di aggiornamento del Def. Si dimette da viceministro il senatore Bubbico. “La mia, dice, è una posizione di coerenza che serve a non creare imbarazzo al governo avendo condiviso la valutazione del mio gruppo. votato. Sull’indirizzo di politica economica e sociale c’è un distinguo molto forte rispetto al quale non sono venute risposte.”

Il ministro “spaccone”: creeremo più di un milione di posti di lavoro

Il ministro presenta il Def con un annuncio che neppure lo “spaccone”, vi ricordate lo splendido film con Paul Newman che impersona un grande giocatore di biliardo, Eddy Felson, detto Eddy lo svelto, avrebbe osato dire. E sì che lo “svelto” non era secondo a nessuno in questo campo. Il Pier Carlo veramente l’ha detta grossa annunciando che grazie a lui, al suo documento, alla legge di Bilancio, si sarebbe creato un milione di nuovi posti di lavoro. Anzi qualcosa più di un milione. Non sappiamo se il novello “spaccone” abbia dato questo clamoroso annuncio per disperazione a fronte di una manovra  fatta di niente, di annunci in particolare che riguardano gli anni che verranno, il 2019, il 2020, o se davvero pensa che fra Def, Bilancio , così come impostati, si affrontano i problemi del Paese che si chiamano in primo luogo “eguaglianza” che significa lavoro per i giovani in primo luogo, lavoro non precarietà, diritti dei lavoratori, lotta alla povertà, sanità di cui tutti i cittadini devono poter godere, investimenti in primo luogo per la difesa dell’ambiente, del territorio, lotta all’evasione non a parole ma partendo dalla progressività fiscale come prevede la Costituzione. Per non parlare della scuola, dell’università, della cultura per cui Gotor in commissione cultura del Senato ha presentato un documento alternativo. Non pretendiamo che presentando le linee degli interventi economici il ministro parlasse anche di migranti, Minniti permettendo. Sorvoliamo sul fatto che per quanto riguarda il rinnovo del contratto del pubblico impiego bloccato da nove anni, malgrado l’intesa raggiunta circa un anno fa con la ministra Madia, del costo dell’investimento necessario viene accorpato in un non meglio identificato “politiche invariate”. Lasciamo per ultimo un fatto di estrema gravità. Da più di un anno c’è una intesa fra governo, leggi ministro Poletti, e Cgil, Cisl, Uil per intervenire sulle pensioni, in particolare sul problema dell’adeguamento dell’età pensionabile alle speranze di vita, leggi riforma Fornero, che crea gravi problemi per chi deve andare in pensione e si vede spostare automaticamente la data, sulla discriminazione che colpisce le donne. Undici  punti che interessano anche i giovani che rischiano di non veder mai l’assegno dell’Inps. Neppure un cenno. Anzi, una cosa è stata detta, suggerita da Banca d’Italia e Corte dei Conti: la legge Fornero non si tocca.

Una relazione impresentabile, silenzio su pensioni e contratti del pubblico impiego

Insomma una relazione impresentabile che riassumiamo in poche parole. La manovra reale ammonta a 8,6 miliardi di cui 3,5 sono tagli di spesa e 5,1 di entrate aggiuntive che dovrebbero arrivare da misure di lotta all’evasione, misure molto “evasive” nella relazione del ministro. Dalla Ue ci arriveranno 10 miliardi, lo 0,6% del Pil, che andranno ad aumentare il deficit  con l’autorizzazione della Commissione. Gli impieghi indicati nella tabella di marcia sono stimati in 3,8 miliardi: 2,6 miliardi per le politiche invariate, 600 milioni per la coesione sociale (lotta alla povertà), 338 milioni per la competitività e 300 milioni per lo sviluppo. Questa la “manovretta” per il 2018, per gli anni seguenti invece, visto che si tratta di indicare numeri non supportati da dati reali, invece i numeri crescono a dismisura. In realtà, come afferma Lannutti, presidente onorario di Adusbef, si rinvia tutto alle calende greche, mettendo in risalto il fatto che “il reddito reale è fermo nel secondo trimestre 2017 ed è sceso dello 0,3% su base annua”. Per il lavoro ai giovani, prosegue Lannutti, vengono “destinati 338 milioni di spiccioli per il 2018, con il Jobs Act che crea un esercito di precari, al 90% con lavoretti aleatori di poche ore spacciati per posti di lavoro, che impedisce loro di accedere a mutui e prestiti”. Sul problema occupazione e sugli strabilianti dati forniti da Padoan interviene la Cgia. Il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo, smonta, sulla base di numeri reali, la relazione di Padoan. “Le ultime rilevazioni dell’Istat hanno messo in evidenza che gli occupati nell’agosto di quest’anno, pari a poco più di 23 milioni di unità, sono quasi tornati allo stesso livello del 2008; il monte ore lavorate, invece,  è diminuito di oltre 1,1 miliardi (-5 per cento). Nei primi 6 mesi del 2008, infatti, i lavoratori italiani erano stati in fabbrica o in ufficio per un totale di 22,8 miliardi di ore, nel primo semestre di quest’anno, invece, lo stock  è sceso a 21,7”.

La precarietà una regola nella fabbrica che piace al ministro

A parità di occupati sono diminuite le ore lavorate, rispetto al 2008 i lavoratori a tempo pieno sono scesi e, viceversa, sono aumentati quelli a tempo parziale (contratti a termine, part time involontario, lavoro intermittente, somministrazione, etc.). Difatti, se nel 2008 i dipendenti full time erano l’86 per cento del totale, 8 anni dopo si sono abbassati all’81 per cento. Quelli a tempo parziale, invece, sono saliti dal 14 al 19 per cento del totale. Con una produttività del lavoro che ha subito una contrazione molto importante sia nei servizi (-3,1 per cento) sia nelle costruzioni (7,1 per cento) – settori, questi ultimi, che danno lavoro al 79 per cento del totale dei dipendenti presenti nel Paese – anche la retribuzione media per occupato ha registrato una forte contrazione: tra il 2008 e il 2016 è diminuita, al netto dell’inflazione, del 3,4 per cento. Padoan, insomma, è riuscito in un miracolo: a parità di occupati sono diminuite le ore lavorate. La realtà è che la precarietà è diventata una regola nella “fabbrica” del  ministro dell’Economia.

Da jobsnews


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