Andrea Camilleri. “Esercizi di memoria”, galleria di ritratti con un commissario autentico

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A novantadue anni compiuti, con l’handicap della cecità sopraggiunta in tarda età, Andrea Camilleri continua a pubblicare. Il suo nuovo libro, Esercizi di memoria, edito da Rizzoli (pag. 237 euro 18,00), non è l’ennesima avventura del commissario Montalbano, ma il celebre investigatore che gli ha dato fama imperitura si ritrova in uno dei suoi ventitré personaggi dei quali l’autore scrive sul filo della memoria: è il commissario Carmelo Camilleri, realmente esistito, (non è uno dei tanti calembour con i quali lo scrittore siciliano si diverte a divertire i suoi lettori) uno dei cugini del padre, lui lo chiamava zio Carmelo, funzionario di polizia nell’Italia fascista che si trovò a indagare su un attentato attribuito ai comunisti e che invece risultò opera di giovani fascisti. Avendo provato la verità dei fatti, pur sapendo a che cosa andava incontro, il commissario Camilleri fu perseguitato dal regime, costretto a dimettersi, finì in miseria. E’ proprio a lui che Camilleri si è ispirato per la figura del commissario Montalbano, “un uomo – lo definisce nel libro – che per la ricerca della verità mette in gioco tutto se stesso”.

Il nuovo memoir di Camilleri è ricco di personaggi noti e meno noti: gente di cinema e di teatro con i quali ha collaborato, come Eduardo De Filippo, Michelangelo Antonioni, Monica Vitti, il poeta Vicenzo Cardarelli. A cominciare da Luigi Pirandello: considerato fascista o antifascista secondo i punti di vista. Quando, nel dicembre 1936 il premio Nobel morì nella sua casa romana, le ceneri furono raccolte in un’anfora greca, depositata al cimitero del Verano, nonostante avesse lasciato scritto che avrebbe voluto fossero sparse nella campagna di Agrigento, sulle radici di un pino.        Otto anni dopo, nel 1942, cinque liceali agrigentini, e fra loro il giovane Andrea Camilleri, si fecero ricevere dal federale fascista dell’epoca per chiedere che le ceneri di Pirandello, come da sua richiesta, fossero portate ad Agrigento. “Non venitemi a parlare di Pirandello! Era un lurido antifascista!” fu la lapidaria risposta del gerarca fascista. Tre anni dopo, nell’Italia liberata dal fascismo, gli stessi cinque ex-liceali, ormai studenti universitari, si ripresentarono al Prefetto di Agrigento con la medesima richiesta: portare le ceneri dello scrittore dal Verano ad Agrigento. La risposta del Prefetto, nel 1945, fu: ”Non se ne parla neppure. Pirandello è stato un convinto fascista”. Per la cronaca, le ceneri di Pirandello raggiunsero Agrigento solo alcuni anni dopo grazie all’interessamento di un deputato siciliano della DC, il terzo interlocutore al quale si erano rivolti gli irriducibili giovani pirandelliani capitanati da Andrea Camilleri.

In queste pagine c’è tutto Camilleri, dall’infanzia alla maturità, con racconti di toccante umanità, ricordi ai quali l’autore dà vita sul filo di una memoria che non falla.  E si parla anche del boss mafioso Luciano Liggio, che voleva affidare a Camilleri la stesura di uno sceneggiato televisivo che raccontasse la sua vita, vista però dal proprio punto di vista.

Un memoir particolare, dove ogni ricordo è recuperato con amore ma anche con l’ironia che riconosciamo al prolifico narratore di Porto Empedocle. Che ha scritto per tutta la vita, con metodo, dalle sette del mattino, fumando milioni di sigarette, e che definisce la scrittura “un gioco di leggerezza, un intrecciarsi aereo di suoni e parole, come gli esercizi di un acrobata che vola da un trapezio all’altro sempre con il sorriso sulle labbra”, perché lo spettatore (leggi: il lettore) non deve avvertire la fatica, altrimenti non si godrebbe lo spettacolo.                                                   


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