L’Italia che crolla sotto il peso dell’illegalità

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A un anno esatto dalla tragedia che ha sconvolto il Centro Italia, siamo ancora qui a parlare di morti, di feriti, di abitazioni crollate e di innumerevoli domande relative ai criteri con cui è stata costruita almeno la metà di questo sventurato Paese.
“Un Paradiso abitato da diavoli” scrisse Benedetto Croce parlando di Napoli, memore di essere sopravvissuto, a differenza dei suoi genitori, al sisma che squassò Casamicciola nel 1883.
Sono trascorsi centotrentaquattro anni da allora e le riflessioni di Croce circa le arretratezze, la corruzione e altri mali atavici dell’Italia sono, purtroppo, tuttora attuali.
Perché il punto non è solo accertare le responsabilità in ogni singola catastrofe, cosa di per sé sacrosanta e obiettivo da perseguire con il massimo vigore; il vero obiettivo, spiace dirlo, è modificare radicalmente il nostro modo di pensare e di essere.
Ad ogni terremoto, infatti, si vedono immagini strazianti, scene di abitazioni collassate, le lacrime e la disperazione di chi ha perso tutto, il dolore sincero dei superstiti, l’incredulità dei bambini rimasti orfani, degli uomini e delle donne rimasti vedovi e degli anziani che temono di non avere il tempo materiale per tornare alle proprie abitazioni, ben coscienti delle lungaggini burocratiche, dei ritardi e delle innumerevoli greppie che subito si attivano in queste circostanze.
Ciò su cui si tende a non riflettere mai, invece, sono le cause di tanta rovina, e chi ci prova, il più delle volte, viene subissato di accuse, sommerso di insulti e calunniato come disfattista, nemico del popolo, sciacallo e via elencando.
Sfidando l’impopolarità, è, al contrario, doveroso ribadire che se terremoti che in Giappone non produrrebbero alcun danno da noi provocano stragi non è solo a causa del destino cinico e baro ma anche, e più che mai, delle modalità con cui sono stati costruiti gli edifici purtroppo crollati.
Il punto è che siamo un popolo sempre pronto ad indignarsi al cospetto delle malefatte dei politici, sempre in prima fila nel denunciare gli stipendi, le pensioni e i vitalizi esorbitanti dei parlamentari e degli ex parlamentari, sempre pronti a scagliarci contro la “Casta” e a chiederne la testa, tanto che intere compagini hanno costruito su questa rabbia a buon mercato le proprie fortune politiche, salvo non avere mai il coraggio di fare i conti con noi stessi.
Perché se mezza Italia, e forse più di mezza, è stata costruita con il cemento depotenziato e la sabbia al posto della calce, se non sono stati seguiti criteri antisismici in zone note per essere particolarmente esposte a questo rischio, se ogni calamità naturale da noi si trasforma in una mattanza e se ovunque prospera indisturbata una classe dirigente come quella che vediamo all’opera è perché il tarlo dell’illegalità è nella nostra testa.
Duole dirlo, ribadisco, ma siamo una Nazione troppo disabituata alla legalità, troppo abituata ai favori, alle scappatoie, alle bustarelle, ai sotterfugi, al welfare fasullo fondato sul ladrocinio e sul condono delle scorrettezze al posto di quello vero fondato sui diritti e sulla tutela del paesaggio e del territorio; siamo una Nazione in cui la gestione feudale di intere zone suscita sgomento solo quando se ne manifestano le conseguenze perché altrimenti sarebbe più che accettata, anzi richiesta; siamo una Nazione in cui ci si affida ai santoni, ai demagoghi, a un discreto numero di ciarlatani e quasi mai a persone veramente in gamba, veramente intenzionate a cambiare lo stato delle cose, veramente animate da uno spirito riformista che solo potrebbe farci uscire dalle secche di questa miseria morale diffusa. E quando pure qualche eroe contemporaneo trova il coraggio di impegnarsi in prima persona o non viene capito o viene cacciato dopo poco tempo o, peggio ancora, fa la fine del sindaco pescatore di Pollica, reo di aver trasformato un paese in cui a farla da padrona era l’anarchia più assoluta in un gioiello turistico che il mondo intero veniva ad ammirare.
L’amara realtà che si evince dai numeri relativi alle richieste di condono presentate a Ischia, insomma, è che il nostro senso civico complessivo è abbastanza prossimo allo zero, il che è dovuto non solo all’individualismo endemico che ci affligge ma anche ad un egoismo cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi trent’anni, ad una sfiducia nello Stato pressoché totale, che lo Stato peraltro ha fatto di tutto per meritarsi, e ad un rifiuto del concetto stesso di bene comune.
D’altronde, se ci sono organizzazioni che odiano il bene comune, queste sono le mafie che da noi proliferano con un disturbo del tutto insufficiente da quasi un secolo. Se a ciò aggiungiamo la predicazione liberista che ha elevato l’avidità a virtù, assecondando gli istinti peggiori dei nostri concittadini, abbiamo chiaro il quadro di degrado nel quale siamo immersi, ignari di essere le principali vittime della nostra stessa concezione della società o, per meglio dire, della sua incomprensibile negazione.
Un Paese fragile che crolla sotto il peso dell’illegalità e dell’ingiustizia, delle costruzioni realizzate utilizzando materiali scadenti e puntando spesso al massimo ribasso e delle ditte in mano alla criminalità organizzata che vincono appalti lucrosi con i metodi che tutti sappiamo.
Un Paese devastato dall’incuria e dai bonus profusi a piene mani al posto di saggi investimenti volti alla cura del paesaggio e del territorio e alla messa in sicurezza degli edifici a rischio; un Paese che apre gli occhi solo quando ormai è troppo tardi; un Paese in cui troppa gente è specializzata in invettive nei confronti del prossimo senza un minimo di autocritica o, quanto meno, di quel sano guardarsi dentro per rendersi contro dei propri limiti: siamo un Paese così e, in queste condizioni, il sangue versato otto anni fa a L’Aquila, l’anno scorso ad Amatrice, quest’anno a Ischia e prim’ancora a Reggio e Messina, nel Belice, in Irpinia e in molte altre località, magnifiche e fragili, disseminate lungo lo Stivale, questo sangue purtroppo è stato inutile. Altro ne scorrerà e ogni discussione sfocerà nell’ennesima polemica da due soldi tra forze politiche che non sono né migliori né peggiori di chi vi si affida: ne sono lo specchio fedele.


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